Votes taken by ›madness’

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    Ciao Jo, benvenuto tra noi! Io sono Tiziana ma chiamami Tiz proprio come fanno tutti! Per qualsiasi cosa non esitare a chiedere.. Buona permanenza! :3
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    ROLE-SCHEME PROVVISORIO, PROVINI
    Mystic Falls
    -- Vecchia fattoria

    Un passo dopo l'altro, camminavo avanti e indietro per quella stanza, se così si poteva definire quel luogo, ma d'altra parte mi trovavo in una fatiscente fattoria, per di più abbandonata da tempo, c'era quasi da stupirsi che stesse ancora in piedi. Mani sui fianchi, con fare autoritario, cercavo di concentrare la mia mente, solo ed esclusivamente, sul ticchettio dei tacchi dei miei stivali, isolandomi dai lamenti strazianti e dalle imprecazioni di Kim. Tra tutti gli ibridi a cui avevo fatto da baby sitter, negli ultimi giorni, lei era di certo la più ingrata piccola stronza. Non avevo mica chiesto io di essere relegata in quel luogo sperduto, a controllare che le ossa del suo corpo si spezzassero ancora e ancora e ancora, fino al punto da non provare quasi più dolore. Doveva essermi grata, a me e a Tyler, per l'aiuto che stavamo dando a lei e al resto dell'esercito di ibridi completamente asserviti al volere di Klaus. Insomma eravamo lì per una nobile causa, liberarli dalla schiavitù, proprio come io avevo aiutato Tyler nel suo lungo percorso per porre finalmente fine alla sua di schiavitù. Ero stata al suo fianco, notte e giorno, gli avevo infuso forza, coraggio, voglia di ribellarsi, di andare avanti nonostante il dolore e le pene da patire, di lottare per riavere indietro la sua vita e guardatelo adesso: finalmente libero! Ecco di cosa si trattava di rendere altrettanto liberi i suoi simili, proprio come lui aveva fatto con se stesso, spezzare quelle catene invisibili che li obbligavano a sottostare agli orini disumani di Klaus. Ma se per Tyler kim era un'altra anima da riscattare, per la sottoscritta si trattava solo e soltanto di un numero. Dodici ibridi, questo era ciò di cui avevo bisogno, e sebbene avrei preferito lasciarla li ad imprecare da sola piuttosto che contro me, Kim faceva parte di quei dodici, di conseguenza volente o nolente ero costretta sorbirmi le sue lamentele il più pazientemente possibile. Questo la diceva lunga sulla nobiltà delle mie azioni, ma poco importava. Avevo dato la mia disponibilità, lo avevo fatto in segno d'amicizia, o meglio apparentemente questo era il motivo per cui mi ero offerta di aiutare Tyler nella sua impresa, ma le apparenze ingannano si sa. Sia chiaro non avevo nulla contro Tyler, al contrario a lui in un certo senso tenevo sul serio, ragion per cui lui restava fuori dai mie piani, o forse sarebbe più appropriato dire dal sabotaggio del suo piano. Già era proprio questo che avrei dovuto fare, era questo il mio scopo, il mio unico e vero obbiettivo. Il mio aiuto non consisteva nel salvare quegli ibridi, piuttosto nel sacrificarli, ma era necessario, lo era per me. Questo faceva di me un'egoista, a differenza dell'altruistico Tyler, ma ammettiamolo dove porta l'altruismo? Da nessuna parte, al mondo non esiste persona che faccia qualcosa per nulla in cambio, d'accordo magari un minima percentuale - qualcuno come il Ty ad esempio - ma per il resto sarà sempre e solo l'egoismo a farla da padrone. Tutti noi mettiamo i nostri desideri e il nostro volere davanti a quello degli altri, anche se questo significa ferirli, tradirli. Questo era proprio quello che io avrei fatto a Tyler, e - strano ma vero, per lo meno per la sottoscritta - me ne dispiacevo. Tradire Tyler era la parte più dolorosa di questa messa in scena, a dirla tutta era l'unica, ero piuttosto determinata nel portare a termine la mia missione, ma non potevo evitare di rabbuiarmi sapendo cosa stavo per fare a Tyler, che a prescindere da tutto, consideravo più che un amico. Malgrado ciò, non potevo lasciare che i sentimenti prendessero il sopravvento sui miei doveri, ero sempre stata una tipa piuttosto fredda e calcolatrice sapevo cosa andava fatto e lo facevo senza farmi troppi scrupoli, a discapito di tutto e tutti io andavo sempre infondo e stavolta non sarei stata da meno. Avrei pensato poi a come spiegare tutto a Tyler, a come ottenere il suo perdono, al momento ciò che importava era rendere libera Kim e gli ibridi rimasti, poi tutto sarebbe finito ed io avrei finalmente ottenuto ciò che più desideravo, sarei venuta a conoscenza della verità sui miei genitori, questa era l'unica cosa che contava.
    Arrestai la mia camminata, impalandomi esattamente di fronte a lei, incrociai le braccia sotto il seno e la guardai con fare duro e scocciato, per la sua costante riluttanza. Ormai era la trentesima volta che le ripetevo, per filo e per segno, perchè fosse fondamentale che lei continuasse a trasformarsi, anche fino allo stremo delle forze, se necessario; ma lei sembrava non capire, o forse non ascoltare. Aveva ragione, non ero un ibrido, non potevo sapere come fosse trasformarsi anche fino a 20 volte consecutive, ma sebbene non lo avessi provato sulla mia pelle, ormai avevo una vasta esperienza su ciò che significasse e su quanto dolore potesse arrecare, ma ciò che veramente sapevo era quanto mi sarebbe stata grata una volta riconquistata la sua tanto agognata libertà. Non era la prima che aiutavo, ormai sapevo cosa andava fatto, come andava fatto e quanto tempo andava impiegato, ecco perchè Tyler si fidava a tal punto da lasciare che fossi io ad occuparmene, nonostante lui fosse di certo quello che più poteva capire cosa stava passando Kim o qualsiasi altro ibrido. «Urla pure quanto vuoi!» Esclamai, ormai esasperata dalle sue proteste. «Nessuno può sentirti, siamo nel mezzo del nulla, nessuno verrà ad aiutarti, ne a salvarti, quindi su continua pure a sfogarti.» Continuai con noncuranza, come se le avessi appena chiesto se ci fosse o meno una bella giornata. No, non ero insensibile, ero pratica, quella era l'unica strada da percorrere, non c'erano alternative, quindi c'era ben poco da dire, se non andare dritti al punto. -Come sta andando? Klaus sarà impegnato, accompagnerà Caroline al ballo, quindi non desterà sospetti la sua assenza - Mi voltai in direzione di Tyler, così che i miei occhi potessero incrociare i suoi, regalandogli un sorriso raggiante. «Oh bene, se sprecasse meno tempo a lamentarsi saremmo di certo a buon punto!» Commentai acida, lanciando un'occhiataccia a Kim, stringendomi nelle spalle, prima di ignorare completamente la sua presenza e concentrarmi su qualcosa di più allettante come: il ballo. «Quindi.. Significa che andremo anche noi?» Chiesi con un sorrisino non troppo esultante sulle labbra ed uno sguardo innocente, degno di un vero agnellino. Fingere che il mio interesse fosse esclusivamente di tipo professionale, sebbene l'idea di andare al ballo con Tyler mi elettrizzasse parecchio, non richiedeva chissà quanto forzo, ero abile nel nascondere le vere intenzioni delle mie azioni, la faccenda degli ibridi ne era la prova lampante. Tra le altre cose, viste le mie doti di persuasione, non sarebbe stato poi così difficile presentarmi come sua accompagnatrice a quel ballo, di questo ero più che certa.

    Lo so, lo so, il post non è un granchè ma prometto che migliorerò!**
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    best series pg Niklaus Mikaelson
    best invented pg Celeste Nimphadora Forbes
    best female pg Caroline Forbes
    best male pg Tristan James Osborn
    best feeling Stefan Salvatore ♡ Elena Gilbert
    best quote 07, by stefan
    best role silenziosa lealtà (tyler - klaus)
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    Tears don’t mean you’re losing, everybody’s bruising, Just be true to who you are..Jessie J - Who You Are

    Jean Claude durand
    Se c'era una cosa che detestavo, probabilmente fin da quando avevo sviluppato un minimo di cervello, erano i prepotenti, coloro che si credevano i padroni del mondo, che si credevano superiori a tutti e tutto ciò che li circonda. Avevo avuto fin troppo a che fare con tipi del genere, ero ancora un bambino quando mi ero dovuto mettere in piedi sulle mie gambe, sbracciare le maniche e stare al mondo da solo e se c'era una cosa che avevo imparato da tutto questo era che non bisognava mai arrendersi davanti a niente e nessuno, che per quanto ti venissero messi i piedi in testa bisognava sempre e comunque rimettersi in piedi e andare avanti a testa alta. D'accordo questo, spesso, poteva portarti incontro a qualche piccolo inconveniente, come rischiare che ti venissi strappato il cuore dal petto, ma sapete una cosa? Ne valeva decisamente la pena, se proprio dovevamo andarcene da questo mondo tanto valeva farlo in grande stile e non frignando e piagnucolando affinchè ci fosse risparmiata la nostra misera vita. Ecco perchè, nonostante i vari tentavi della piccola strega di sbattermi in faccia come sarebbe stato facile per lei farmi sparire dalla terra come valessi meno di zero, le sue parole non mi scalfirono minimamente, era come se mi scivolassero addosso. Starla a sentire era tremendamente irritante, tutto quel suo straparlare su ciò di cui sarebbe stata capace, o quella sua innata sicurezza che faceva tanto venir voglia di dirle di scendere dal piedistallo perchè, ammettiamolo, non era mica l'unica figa in città, e per non parlare poi di quel suo atteggiamento da maestrina "so tutto io", behniente di tutto questo riuscii ad intaccare la mia aria serena e a dir poco divertita. Perchè si a guardarla bene quella ragazzina mi divertiva, non perchè non la credessi all'altezza di ciò che professava, per quel che ne sapevo poteva anche essere la migliore strega sulla faccia della terra - se Klaus la teneva ancora in vita dopotutto doveva pur esserci un motivo - ma quella sua irrefrenabile autostima era davvero esilarante, sebbene nei suoi occhi, in quello sguardo, si celava qualcosa di davvero oscuro, qualcosa che ad un qualsiasi occhio umano avrebbe fatto rizzare tutti i peli che si ritrovava in corpo. Basti pensare che le mie parole la fecero ridere, poteva anche trovare me e quello che avevo da dire sciocco, ma se pensava che il solo fatto di avere un po' di magia ed uno psicopatico dalla sua parte equivalesse all'onnipotenza si sbagliava di grosso. A dirla tutta era proprio il più grande sbaglio da fare quello, quando si arriva ad avere la convinzione di essere ciò che di più potente ci sia sulla terra si arriva anche ad essere ad un passo dalla fossa, basti pensare a tutti i grandi potenti, epoche ed epoche di esempi di come il potere non equivalga anche all'onnipotenza. Lo sapevo bene, chi meglio di me poteva? Dopotutto ero pur sempre un 'insegnate di storia e si ero fermamente convinto che, forse un giorno, perfino il grande Niklaus sarebbe potuto essere fatto fuori e allora cosa avrebbe detto quella graziosa, quanto seccante, biondina? Beh sinceramente non mi importava, non era affar mio, ma una bella lezione di vita le avrebbe fatto più che bene, per lo meno le avrebbe cancellato quell'aria di sufficienza che aveva stampata in viso fin da quando aveva, purtroppo, messo piede nella mia aula.
    La allontanai bruscamente dalla mia roba, infastidito dalla troppa confidenza che quella sconosciuta osava prendersi, in attesa di conoscere perchè quella mattina mi fossi dovuto sorbire quella visita tanto inaspettata quanto spiacevole; ma non solo venni ignorato dovetti per di più restare ad ammirare quello squallido spettacolo. Aveva dato fuoco alla mia 24 ore mandando in fumo, nel vero senso della parola, il mio lavoro. Non so cosa mi trattenne da afferrare il suo collo e spezzarlo in un solo e sonoro colpo, forse quel briciolo di autocontrollo che negli anni ero riuscito ad affinare, ma non nascondo che il desiderio di farlo era più che presente in me. Dopotutto sognare non costa niente! Sbattei con forza un pugno sulla cattedra, al fine di mettere a tacere l'irrefrenabile voglia di assecondare il mio desiderio, e inspirai profondamente. «Sai che il tuo giochetto di prestigio costerà ai miei alunni un'ulteriore verifica? Sono certo che se solo sapessero ti farebbero nera senza nemmeno l'aiuto di uno dei tuoi trucchetti!» Sibilai a denti stretti con ripugnanza, socchiudendo gli occhi, lasciando che l'ira e l'irritazione defluissero dal mio corpo. Quella piccola arrogante strega aveva appena sminuito il mio lavoro ed il mio tempo, come se non valessero niente. Mi voltai nuovamente verso di lei, con il volto contratto in una smorfia di fastidio, era inutile negarlo, diciamocelo iniziava a starmi davvero sulle palle. «Di lei so abbastanza professore, e potrei sapere moltissime altre cose se solo lo volessi.» Adesso era davvero troppo, aveva sul serio oltrepassato ogni confine possibile ed immaginabile, aveva messo il naso dove non si sarebbe mai dovuta nemmeno avvicinare, non ero stupido e avevo capito perfettamente a cosa si riferissero quelle parole, stava entrando nella mia testa ecco cosa stava facendo! Non attesi un attimo di più per spingermi, con la mia velocità vampiresca, verso di lei posizionando le mie mani esattamente di fianco alle sue gambe, intrappolandola tra di esse. «Stammi bene a sentire.. Smettila, qualsiasi cosa tu abbia appena fatto smettila.. O puoi star certa che rispedirò al mittente ciò che resterà di te in una scatola!» Ringhiai crudele a pochi centimetri da lei, con l'accenno di un sorrisino per niente amichevole sulle labbra. Fin ora era stata lei quella pronta a trafiggermi con le sue minacce, adesso era il mio turno, un altro colpo basso e no non avrei più lasciato che fosse il mio buon senso a guidare le mie azioni, piuttosto l'avrei sul serio rimandato i suoi resti al caro Niklaus, dopotutto che differenza poteva fare? Mi voleva già morto, quindi non sarebbe cambiato poi molto. «Lei è impulsivo e questo mi piace: ha afferrato il mio polso, ma cosa mia importante ha dedotto erroneamente che io la voglia morto. No, io non la voglio morto: desideravo solo conoscerla. Per amore di Niklaus potrei persino strapparle il cuore dal petto se solo me lo chiedesse, ma non lo farà: preferisce non farmi macchiare di certi crimini... Volevo chiederle perché infastidisce Klaus così tanto. Cos'ha fatto di così eclatante per suscitare in lui tutto questo odio nei suoi confronti? La mia vuole essere una maschera professore, non ucciderei mai un uomo solo perché mi viene chiesto: non sono una sicaria e mai lo sarò per conto terzi; non mi macchierei della morte di un innocente.» Le lasciai portare a termine il suo monologo, notando con mia grande sorpresa che perfino quella ragazza sembrava conservare un minimo di raziocinio. «Beh.. Sono colpito, dopotutto non sei poi così fuori di testa! Ma vedi credo che questi non siano affar tuoi!» Mormorai con tranquillità stringendomi nelle spalle. Mi allontanai appena da lei, così da poterla fissare meglio e inclinai il capo da un lato incuriosito. «Ma dimmi: perchè ci tieni tanto a sapere il motivo per cui Niklaus mi vuole morto tanto quanto io desidero vedere morto lui?» Chiesi non solo con curiosità, piuttosto con visibile sospetto. Quella ragazza nascondeva qualcosa, era lì con un intento ben preciso, ma non riuscivo minimamente a capire quale potesse essere. Se non mi voleva morto, come aveva appena confessato, allora perchè quella strana curiosità sulle "divergenze" tra me e Klaus?

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    Edited by ..:Butterfly:.. - 30/1/2013, 09:22
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    Tears don’t mean you’re losing, everybody’s bruising, Just be true to who you are..Jessie J - Who You Are

    Jean Claude durand
    Di tutte le persone che mi sarei mai potuto immaginare di ritrovarmi davanti quella mattina la cosiddetta Celeste Forbes era di certo l'ultima della lista. A dirla tutta non ci rientrava proprio nella lista, ma d'altra parte ultimamente sembrava che chiunque avesse qualcosa da dirmi pensasse bene di presentarsi in facoltà. Di questo passo il mio ufficio si sarebbe trasformato in un confessionale! Negli ultimi mesi avevo ricevuto più visite in quelle aule che a casa mia, e chissà perchè nella maggior parte dei casi i miei incontri portavano più problemi che altro. Ma vedete il punto era che per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire per quale motivo quella ragazza potesse trovarsi nella mia aula. Che bazzicasse intorno a Klaus lo sapevo bene, lo avevo potuto costare con i miei occhi, l'uno tra le braccia dell'altro intenti a vorticare a suon di musica sulla pista da ballo, lo ricordavo più che bene perchè era il motivo per cui avevo dato a Bekah della maleducata visto il suo eccessivo interesse nei loro confronti mentre danzavamo. Non che ci fosse da sorprendersi, era semplice quotidianità, quello che accadeva sempre e comunque quando si trattava di Niklaus e Rebekah, bastava che uno dei due si intrattenesse con qualcun altro per rischiare di andare incontro alla fine del mondo, chi meglio di me poteva saperlo! Ma il fatto che potesse essere la sua "leccapiedi" - come l'avevo appena definita - o la sua puttanella o qualsiasi altra cosa, non spiegava minimamente il motivo per cui si trovasse lì, esattamente di fronte a me. Sinceramente cosa poteva volere ancora Klaus dal sottoscritto? Oddio una mezza idea potevo anche averla, ma dubitavo che se si fosse trattato di quello avrebbe mandato quella ragazzina. Oh no se fosse stato a conoscenza della passeggiata sul sentiero dei ricordi fatta da me e dalla sua piccola sorellina, ero certo che si sarebbe presentato di persona, anche se non erano fatti suoi, non lo erano nel lontano 800 e non lo erano nemmeno adesso. Di conseguenza cosa avevo mai potuto fare per urtare la profonda sensibilità di Niklaus al punto da mandarmi la sua, niente di meno che, strega era così che si era appena presentata.
    «Niklaus non si abbassa certo a mandare la sua Strega. Si figuri, Professore, incontrarla è stata una mia iniziativa, nonostante io stia iniziando a pentirmi della sua considerazione nei miei confronti. Forse conosce esemplari di donne legate a Niklaus con metà della mia personalità, assoggettate alla sua persona, ragion per cui preferisco non farle una colpa delle sue precedenti parole.» Bene almeno aveva chiarito il mio principale dubbio, anche se me ne aveva messo in testa un altro, che cosa voleva? Se non la mandava Nik perchè diavolo era lì? Incontrarmi era stata una sua iniziativa, per far cosa? Conoscere il primo nome sull'elenco delle cose da fare di Niklaus Mikaelson sotto la voce "persone da uccidere"? Alzai un sopracciglio con fare scettico, incrociando le braccia al petto e portando un dito sulle mie labbra come ero solito fare quando ero pensieroso, tentando di nascondere il sorrisino di scherno che mi si era stampato sulle labbra dopo aver udito le sue parole. A quanto pare si era sentita profondamente offesa dalla mia insinuazione, io ero più perplesso invece dal fatto che lei declamasse ai quattro venti di restare al fianco di Niklaus per sua scelta, e non perchè "assoggettata alla sua persona" per citare il suo stesso pensiero. "Uno sciocco trova sempre uno più sciocco che lo ammira", non ricordavo dove avevo letto queste parole ma sembravano calzarle a pennello! Cosa potrebbe mai spingere una persona sana di mente e scegliere di prostrarsi davanti ad un folle psicopatico come Klaus? Oh ma ovvio, il potere, il suo sentirsi sempre e comunque al di sopra di qualsiasi altro essere, ed ammettiamolo Celeste sembrava essere un'allieva modello vista la gran sicurezza che ostentava senza mezzi termini. L'avevo appena conosciuta eppure avevo già la certezza che se avessi trascorso altri cinque minuti con lei sarei finito per rimpiangere i bei tempi andati in cui le streghe venivano messe al rogo, ma per quanto desiderassi sbatterla fuori dall'aula, cosa che tra l'altro potevo fare dato che si trattava della mia aula a differenza sua non abusavo dei miei poteri, da uomo ragionevole qual'ero avrei tollerato la sua presenza fino a quando la mia scarsa pazienza me lo avrebbe permesso. Ragion per cui rimasi in silenzio, senza mai allontanare il mio sguardo dal suo, in attesa di conoscere perchè fossi stato onorato della sua presenza quella mattina. «Ero semplicemente curiosa di comprendere perché lei fosse ancora in vita. Sa che mi basterebbe una parola di troppo per convincere Klaus a farla fuori? Noi leccapiedi, riusciamo dove nemmeno le oche millenarie riescono.» Avevo detto che la mia pazienza era scarsa, beh lei ce la stava mettendo tutta per far scoppiare la bomba, diciamo che aveva appena acceso la miccia, era irritante e petulante, per non parlare di quanto detestassi quella sua convinzione di fondo di poter fare e dire ciò che le pareva. «Oh non scomodarti non ce n'è alcun bisogno lo farebbe anche senza il tuo prezioso supporto!» Esclamai sarcastico e sprezzante al tempo stesso. Mi voltai, abbandonando la mia precedente posizione, infastidito da quelle piccole manine candide che avevano iniziato a vagare sulla mia cattedra. Afferrai il suo polso destro, schiacciandolo alla superficie di legno e mi sporsi verso di lei. «Ma non esserne troppo sicura dolcezza..» Le sussurrai maligno a pochi centimetri dal viso. Quella che lei aveva appena chiamato "oca millenaria" era qualcosa che lei non sarebbe mai stata per Kik, non importava quanto potesse farla sentire importante, potente o chicchessia, non avrebbe mai eguagliato Rebekah. Quello che c'era tra Rebekah e Klaus andava ben oltre l'affetto fraterno, non importava quanti battibecchi, liti, affronti o ferite si sarebbero arrecati l'un l'altro, sarebbero sembra tornati l'uno dall'altro. Quindi se fossi stato lì per darle un buon consigli da amico le avrei detto di scendere dal piedistallo prima che fosse stato troppo tardi per farlo, ma in realtà non ero lì per quello, semmai per ricambiare la sua acidità con altrettanto disprezzo. «..L'essere troppo sicuri è sinonimo di debolezza.» La canzonai con fare spregevole e un sorriso di scherno sulle labbra. «Quindi non essere troppo certa di te stessa.. Nel momento in cui lo fai sei morta!» Sussurrai di nuovo con tono ostile, mentre un lampo maligno mi illuminava lo sguardo, stringendo ulteriormente la presa intorno al suo polso prima di lasciarlo andare scansandolo dalla mia roba. Ammettiamolo ero un vero gentiluomo, per quanto quella ragazza non mi piacesse un buon consiglio glielo avevo comunque dato, anche se non con modi troppo gentili, ma diamine non si può avere tutto dalla vita, no? Mi allontanai da lei, facendo scivolare distrattamente un dito, avanti e indietro sulla cattedra, puntai nuovamente il mio sguardo nel suo sorridendo, rilassato e disinvolto, come se non fosse mai accaduto nulla. «Allora.. Volevi incontrami, perchè? E soprattutto perchè mi vorresti morto se di me non sai nulla? Oh.. forse per amore del tuo capo Accentuai il mio sorriso, non riuscendo a nascondermi quando infondo mi divertisse, era ovvio che sotto sotto mi stessi prendendo gioco di lei, ma che si aspettava che me ne sarei rimasto lì a farmi minacciare come se niente fosse, da una ragazzina, solo perchè come alleato vantava Niklaus? O magari perchè era una strega? Beh non non bastava questo a farmi correre impaurito o ad implorarla di risparmiarmi.

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    Edited by ..:Butterfly:.. - 28/1/2013, 09:52
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    Tears don’t mean you’re losing, everybody’s bruising, Just be true to who you are..Jessie J - Who You Are

    Jean Claude durand
    Dovevo smetterla con le notti brave insomma era palese che non facessero affatto bene alla mia carriera. Questo fu il primo pensiero che mi passò per la testa quella mattina appena sveglio. Riuscivo a malapena a sbattere le palpebre, intorpidito e riluttante al solo pensiero di dover uscire dal letto. I ricordi della notte passata erano piuttosto confusi nella mia mente, con buone probabilità perchè ancora troppo addormentato per riuscire a penare in modo ragionevole oppure, motivazione ancor più plausibile, perchè ancora troppo sbronzo vista la quantità d'alcol ingerita fino a qualche ora prima. Perchè mi facevo questo sapendo che sarei dovuto andare in facoltà di prima mattina, mostrarmi smagliante e super disponibile e soprattutto consapevole del fatto che avrei dovuto conservare un minimo di lucidità per riuscire a portare a termine un'intera lezione di senso compiuto? Semplice, il perchè lo sapevo bene, per dimenticare chi fossi, cosa volessi e come invece fossi riuscito a mandare tutto, ma proprio tutto a puttane. Diamine ero un vampiro, volendo potevo accantonare tutto da qualche parte nella mia mente e spegnere ogni cosa, sentimenti ed emozioni, ma la realtà era che non volevo farlo. Poteva sembrare tremendamente masochistico tutto questo, e a dirla tutta forse un po' lo era, ma io non volevo annullare me stesso, cancellare ogni cosa, dopotutto in quel casino mi ci ero cacciato da solo, o quasi, e adesso ne pagavo le conseguenze ricordando a me stesso, in ogni momento della giornata, gli errori commessi e tentando inutilmente di trovare una via d'uscita da quel macello che era diventata la mia vita. Ma si sa la consapevolezza è dolorosa, insomma la verità fa male e quale modo migliore per sfuggire alle pene può esserci se non affogarle nell'alcol, nel sesso e nel sangue? Ecco come ogni mia serata da tranquilla e comune, finiva per trasformarsi in una notte di perdizione. E dire che di recente sembravo aver trovato la retta vita, diciamo che c'ero stato quasi vicino, ma adesso che ciò che mi teneva lontano dalle tentazioni era venuto meno - e a dirla tutta era anche il motivo del mio malessere - l'inferno mi aveva spalancato le porte ed io finivo per farci un salto quasi ogni notte. Fortuna che ero un semplice professore di storia, se avessi dovuto fare lezioni di vita dubito che sarei stato da prendere come esempio. Mi portai una mano sul viso, con un lamento di disappunto essendo più che certo che fossi già in stramaledetto ritardo, scostandomi le ciocche di capelli, scompigliati e ribelli, che mi offuscavano lo sguardo e solo a quel punto realizzai che due occhioni mi fissavano speranzosi. Era lì come ogni mattina, sul mio stomaco con le sue piccole zampine che premevano sulla mia pelle gelida, quella pallina pelosa che da tre settimane circa si era trasformata nel mio stalker, ovunque andasse lui mi stava alle calcagna. Di chi parlavamo? Ma di Bloody ovviamente, il mio cane. Dovevo ancora farci l'abitudine e non mi riferivo solo al fatto di avere un cane, ma più che altro al fatto che ritrovarmelo sempre in mezzo ai piedi non faceva che ricordarmi che colei che me lo aveva rifilato mi ignorava da settimane ormai e questo era parte integrante del mio perenne e costante malumore. «Il letto è off limits ricordi?» Bofonchiai con un'occhiataccia, dando un colpetto sul suo sederino incitandolo a scendere giù. Mi rigirai su me stesso, chiusi gli occhi mentre affondavo il viso nel soffice, ed accogliente, cuscino ripetendomi che presto mi sarei alzato, sarei tornato da Bloody per la sua razione di croccantini e poi a lezione, insomma mi bastava solo un altro secondo.
    Un secondo che si era trasformato in ben venti minuti di totale pace, relax e benessere, che mi avevano fatto presentare a lezione con circa 45 minuti di ritardo! L'avevo detto io che le notti brave non si conciliavano affatto con il lavoro. Non che questo fosse un gran problema per i miei alunni, più tardi mi presentavo, meno dovevano sopportarmi, non a caso il restante delle nostre due ore di lezione sembrarono volar via, e per mia fortuna la mia ripresa dalla sbronza era molto più rapida in quanto vampiro, cosa che mi permise di concludere la mia spiegazione senza uscirmene con qualche cazzata. Una volta che tutti i ragazzi ebbero lasciato l'aula mi concentrai sulla mia roba, rimettendo ogni cosa al suo posto, con la mia solita maniacale precisione. Ecco quello ero io, molti mi avrebbero definito una palla, ma io stavo bene con il mio modo d'essere meticoloso e rigoroso, nonostante l'eccezione di quella mattina.
    Impiegai appena una frazione di secondo per realizzare che non ero più solo, in quell'aula con me c'era qualcun altro, dapprima pensai ad uno studente che si era dimenticato di qualcosa, ma quando sentii distintamente che la porta d'ingresso veniva chiusa mi resi conto che doveva trattarsi di ben altro. In ogni caso rimasi esattamente dov'ero, continuando a concentrarmi su ciò che stavo facendo, per lo meno apparentemente, infondo se non fosse stato per il mio udito sovrannaturale non mi sarei accorto di nulla, visto quanto la mia nuova compagnia riusciva ad essere indiscreta. «E' un piacere incontrarla Professor Durand. Niklaus mi ha parlato molto di lei, e le faccio i miei sinceri complimenti per essere ancora in vita.» Mi voltai con calma non appena ebbi udito quel nome - il cui solo suono riusciva a farmi venire voglia di lacerare la gola a chiunque l'avesse pronunciato - e le rivolsi un sorriso falso e visibilmente infastidito. Apparentemente la biondina seduta esattamente di fronte a me poteva anche starmi simpatica, ma non era difficile ricordarsi di lei ossia la compagna di danze di Niklaus, ergo no, non avrei provato un briciolo di simpatia per lei nemmeno in un'altra vita. In sintesi incontrarla non era affatto un piacere. «Potrei dire lo stesso di lei.. Eccetto per il fatto che io sul suo conto non so nulla!» La canzonai con tono acido e sprezzante. Dopotutto se a distanza di un mese era ancora viva, pur essendo passata tra le grinfie di Niklaus, si meritava davvero tutta la mia stima, ma solo e soltanto per quello. Poggiai le mani sulla cattedra, alle mie spalle, così da sostenere il peso del mio corpo e poter osservare con maggior attenzione colei che mi stava di fronte. A primo impatto sembrava quasi una candida liceale dai lunghi capelli biondi, ma chissà perchè mi bastava collegarla a Klaus per vederla completamente sotto un'altra luce. Ammettiamolo quando di mezzo c'era lui non si trattava mai di nulla di buono! «Ad ogni modo, sono Celeste Forbes.» Forbes, quel nome mi suonava familiare, e lo era, avevo già incontrato una Forbes appena qualche settimana prima, insomma o quel cognome era abbastanza diffuso da quelle parti oppure c'era qualcosa che mi sfuggiva e di cui non era il momento di preoccuparsi. «Che ne diresti di saltare i convenevoli e dirmi.. Che cosa ci fai qui?» Chiesi diretto e senza mezzi termini, dopotutto non avevo bisogno di presentarmi a quanto pareva sapeva perfettamente chi aveva di fronte. «Niklaus era troppo impegnato e così ha mandato uno de i suoi leccapiedi?» Domandai con tono di scherno lanciandole un'occhiata tagliente. Forse avevamo solo iniziato con il piede sbagliato, poteva anche essere una brava ragazza, era carina, i tratti del viso dolci e affabili, ma in lei c'era qualcosa che non mi convinceva, probabilmente le sue amicizie, o meglio quell'unica conoscenza che non sarebbe mai e poi mai rientrata tra mie grazie. Per quanto ne sapevo lei era dalla parte del nemico, ecco tutto!

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    « someone’s bound to get burned, but just because it burns doesn’t mean you’re gonna die.. »
    AIDEN ISAAC ORTONSapevamo entrambi che ostinarci a continuare con quella convivenza non ci avrebbe condotto da nessuna parte. Se non volevo che la serenità di quella famiglia andasse in frantumi allora l'unica cosa da fare era andar via, farsi da parte. Non è che volessi mettere le distanze tra me e quella casa perchè non tollerassi la vicinanza di Evie, al contrario lo facevo perchè avevo iniziato ad apprezzare perfino troppo la sua presenza. Un tempo, dopo il mio ritorno, quella casa era iniziata a starmi stretta, infastidito da quei due estranei e dal caratterino pungente ed esasperante della mia sorellastra nuova di zecca, così avevo cominciato a trascorre più notti a casa di Juliet che tra quelle quattro mura, ma si sa le cose cambiano. Se oggi volevo mettere una certa distanza tra me e quella casa era perchè, al contrario di qualche mese prima, la presenza di Evie mi faceva fin troppo piacere. Ecco perchè ero certo che non saremmo stati in grado di dar ascolto al nostro essere puramente razionale, evitando così di incappare in qualche altra cazzata. Avevo perfino provato ad ignorarla in tutti i modi possibili ed immaginabili, ma lei sapeva sempre come avvicinarmi ed io puntualmente finivo nella sua tela come un allocco. Era un'ottima tessitrice, quando si metteva in testa qualcosa non si fermava davanti a niente e nessuno. Dopo la nostra prima "avventura" al night, nonostante la mia iniziale riluttanza, le avevo concesso una seconda opportunità ma il risultato era stato un completo disastro. Eravamo troppo simili, testardi come due muli, era l'istinto che nella maggior parte dei casi guidava le nostre azione, era stato l'istinto a farci finire l'uno sull'altro avvinghiati come polpi, e così eravamo tornati esattamente punto e a capo. Quindi a che pro concederci l'ennesima chance che avremmo di certo gettato nuovamente al vento? Tanto valeva prendersi le proprie responsabilità e ammettere i propri limiti. Io ed Evie non saremmo mai stati in grado di fermarci se, per puro caso, ci fossimo spinti troppo oltre. Questo non stava a significare che mi sarei arreso al suo volere, certo che no, le sue parole erano tanto assurde quanto sciocche. –non sei abituato ad una persona che non segua alla lettera ciò che dici, ma c è sempre una prima volta, Isaac.. la mia non era una domanda… ti sto informando che lascerò la casa perché non permetterò che sia tu a farlo, non un'altra volta.. non preoccuparti per i nostri genitori, dovresti sapere quanto sono abile a parole…- Non le avrei mai permesso di andar via al posto mio, non lo avrei fatto per diverse ragioni e non avrei cambiato idea nemmeno se avesse strisciato ai miei piedi implorandomi di starla a sentire e accettare la sua proposta. Punto primo le avevo già chiarito come sarebbero andate le cose se si fosse solo azzardata a mettere insieme le parole "andare via di casa" seguite dal pronome "io", si sarebbe scatenata l'apocalisse ed io ci sarei finito in mezzo senza alcuna via di scampo. Punto secondo ero "io" l'uomo di casa, ero io l'adulto o comunque il maggiore tra i due, di conseguenza toccava a me assumermi le mie responsabilità e dare il buon esempio anche se ero uno stronzo cinico senza cuore, per lo meno apparentemente. Punto terzo, ma non per questo meno importante, non le avrei mai permesso di lasciare quel tetto e non lo avrei fatto perchè quanto meno lì sapevo dov'era, lì ero certo che sarebbe stata al sicuro. Se fosse andata via dove sarebbe andata? Da quel che avevo visto di lei non è che vantasse una grande cerchia di amici pronti ad aprirle le porte di casa per ospitarla. Magari, con la testa pazza che si ritrovava, si sarebbe rifugiata da qualche collega del night o peggio ancora da qualcuno dei clienti di suoi conoscenza, il solo pensiero mi faceva rizzare tutti i peli che avevo in corpo. In sostanza, come le avevo appena detto, lei restava fine della storia, poco importava se sarei apparso ai suoi occhi come un maschilista che detta leggi, se era ciò che serviva per tenere al sicuro il suo bel sedere allora ero disposto anche a quello. Adesso non stavamo parlando dell'attrazione che ultimamente prendeva il sopravvento tra noi, o di sentimenti troppo intimi per due fratellastri, si trattava solo di sincero affetto, di tenere a lei e preoccuparsi per lei in modo sincero e a prescindere da qualsiasi tipo di rapporto potesse legarci. "Ed il mio non è un consiglio.. E' un'ordine Evangeline!" Dissi in tutta risposta, con tono fiero che non ammetteva ulteriori ammonizioni. Già il mio era un vero e proprio ordine, non una richiesta o un consiglio affettuoso, ne tanto meno un argomento su cui discutere, le stavo semplicemente impartendo un'ordine che lei avrebbe rispettato con le buone o con le cattive maniere, infondo sapeva bene che non accettavo mai un "no" come risposta. "E tu sai quanto sono abile nel far venire fuori il peggio di me! Quindi non sfidarmi o sarò costretto a farmi sbattere fuori da questa casa a calci in culo!" Mormorai a denti stretti, con un sorrisino soddisfatto sulle labbra, ma talmente perfido da poter far atterrire anche il più impavido guerriero. Forse ero stato troppo schietto, e i miei modi non erano stati dei più eleganti, ma ero certo che stavolta il concetto sarebbe stato afferrato al volo dalla restia Evie. Avevo perfino mantenuto una certa calma, tralasciando l'iniziale irritazione, ma dato che con Evie bisognava essere abbastanza cauti al fine di evitare che fosse lei a prendere la pazienza, avevo impiegato tutta la mia buona volontà mantenendo così il nostro dibattito su un tono quasi civile. Detto, in modo chiaro e tondo, ciò che pensavo realmente per me quel discorso era ormai concluso, adesso potevamo anche andarcene nelle nostre stanze e dormire sonni tranquilli, dato che non c'era più altro da chiarire, insomma ormai il da farsi era deciso. Io avevo deciso per tutti, ma era la decisione più saggia che potessi prendere, ecco perchè mi sentivo quasi in pace con me stesso. Il quasi era dovuto sempre e soltanto al fatto che ciò che era giusto non rappresentava ciò che volevo realmente, ma ormai poco importava.
    Mi misi in piedi, deciso a porre fine a quella conversazione e anche a quella serata, era tardi ed era stata una settimana piuttosto dura ergo se non volevo trascorrere tutto il sabato come uno zombie avevo quantomeno bisogno di qualche ora di sonno ristoratore. Prima di avviarmi però sentii il lancinante bisogno di ammettere a voce alta ciò che pensavo realmente e tenevo celato nel profondo del mio essere. Non so se fu un bene, semplicemente in quel momento sentivo il bisogno di farlo e visto quanto istintivo fossi non riuscii più a trattenere le mie parole. Ciò che di certo non mi sarei mai aspettato era la reazione, così calorosa e appassionata, di Evie. Quando presi a camminare, scuotendo con forza il capo nel tentativo di scacciar via quei pensieri dalla mia mente, percepii la presenza di Evie farsi sempre più vicina fino a ritrovarmi le sue braccia strette al collo. Quell'abbraccio mi colse di sorpresa, al punto da lasciarmi del tutto interdetto, non sapevo che fare, che dire, ne se dire qualcosa, non sapevo il perchè di tale gesto. Rimasi lì, fermo immobile, con le braccia distese lungo i fianchi ed il copro rigido come un manico di scopa. –tua madre sarebbe persa senza di te… non ti ha mai abbandonato né voltato le spalle… sei fortunato, Aiden- Quelle parole mi sorpreso ancor più di quel gesto, la pelle liscia della sua guancia sfiorava l'incavo del mio collo, mentre il mio cuore martellava nel mio petto a contatto con il suo. Quella sua tenerezza, che mai prima d'allora era venuta fuori in modo così palese, l'aver percepito che a prescindere da ogni cosa lei teneva a me, forse anche più di quanto io tenessi a lei, mi spinsero a ricambiare quell'abbraccio. Normalmente non avrei mai fatto una cosa del genere, al contrario mi sarei sentito vulnerabile, indifeso e questo mi avrebbe portato ad allontanarla bruscamente e tirar su un muro, ma non quella sera. Le mie braccia raggiunsero la sua schiena e le mie mani, possenti, la spinsero ulteriormente contro il mio petto. Chiusi gli occhi, ispirando il dolce profumo dei suoi lunghi e soffici capelli. "Ci sono cose che non sai.. Forse allora non la penseresti così.." Mormorai affondando il mio viso in quella matassa di capelli. Sinceramente cosa sapeva lei di me o di mia madre o del nostro passato? Niente, non poteva capire quanto negativa fosse stata la mia presenza nella vita di quella donna che fin dal mio primo giorno di vita avevo amato oltre ogni modo, come solo una madre si può amare. Mi allontanai appena da lei e il suo sguardo si fissò inevitabilmente nel mio. Era una situazione strana, io mi sentivo strano a stringere quella ragazza tra le braccia, in modo così intimo, così affettuoso e non solo. Nei nostri occhi vi si poteva leggere chiaramente quella passione, quel desiderio e quella voglia di appartenerci che ultimamente proprio non riuscivano ad abbandonarci. "E' stata davvero fortunata a trovare voi.." Ammisi con un filo di voce senza mai allontanare il mio sguardo dal suo. Sapevo quanto mia madre tenesse a Richiard, e si anche ad Evangeline era un po' come se finalmente avesse trovato la figlia che non aveva mai avuto. "Non posso rovinare tutto.. Non un'altra volta." Confessai con tono di scuse, prima di premere le mie labbra sulla sua fronte proprio tra la pelle liscia e qualcuno dei suoi ricci. Forse lei non poteva capire, ma io sentivo di non avere altra scelta se non quella di concedere a mia madre la felicità che per 18 lunghi anni le avevo negato. Sciolsi l'abbraccio, seppur con riluttanza, e mi rimisi in marcia lasciandomi Evie alle spalle e rinunciando a ciò che fosse più ardentemente avevo mai desiderato in tutta la mia vita.
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    Oddio il sogno proibito di ogni donna!!! :Q_____
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    « someone’s bound to get burned, but just because it burns doesn’t mean you’re gonna die.. »
    AIDEN ISAAC ORTONGiusto e sbagliato, due costanti nella vita di ogni uomo. Fin da bambino tutti non avevano fatto altro che ripetermi ciò che era giusto fare e ciò che non lo era. "Non si fa Aiden è sbagliato.. sbagliato.. sbagliato.." Ma sapete cosa mi ero sempre chiesto? Perchè ciò che è sbagliato corrisponde sempre a ciò che desideriamo fare più ardentemente di ogni altra cosa? Perchè desideriamo sempre ciò che non possiamo avere, piuttosto che ciò che abbiamo a portata di mano? I misteri dell'animo umano, ecco di cosa si trattava.
    Prendete me, desiderare Evie era la cosa più sciocca possibile, insomma il mondo era pieno di belle ragazze, forse perfino più belle, o più divertenti o più simpatiche di lei, eppure nonostante questo al momento lei era il mio chiodo fisso. Avevo provato di tutto per non pensare a lei, mi ero buttatto a capofitto in quella sorta di relazione che avevamo io e Juliet, avevo evitato Evie in ogni modo possibile ed immaginabile, mi ero mortificato fino allo stremo per essere stato un mostro con lei, eppure niente di tutto questo era stato abbastanza da permettermi di togliermi il pensiero di Evangeline dalla mente e non solo. Ma il punto era che se c'era qualocosa di sbagliato beh era proprio quello, insomma lei era la mia sorellastra e questo, di norma, implicava che tra noi ci fosse un rapporto che escludeva categoricamente approcci come quelli che invece ci avevano visto protagonisti di recente. Certo, andava detto che io non avevo mai considerato Evie come una sorella, non avevo mai visto in lei una parente, io ero figlio unico, fine della storia, non avevamo una sorella, non l'avevo mai avuta in passato e mai l'avrei avuta in futuro. Sebbene questo fosse il mio personale parere, sapevo perfettamente che non corrispondeva a ciò che invece mia madre pesava di noi, per lei eravamo una famiglia, una splendida famigliuola allargata, insomma quello che aveva sempre desiderato e ammattiamolo i membri di una famiglia non vanno a letto insieme, ne si desiderano, o non perdono tempo a provocarsi maliziosamente, come eravamo soliti fare io e Evie. Quindi, tutto sommato, non era poi così complicato, ciò che andava fatto era fottutamente chiaro ormai, io toglievo il disturbo e tutti sarebbero andati avanti con le loro vite, felici e contenti. –Volere è potere… se ci impegniamo affinchè non succeda più, non accadrà!- Le rivolsi un'occhiataccia particolarmente scettica, oserei dire. Ammettiamolo, quel detto non faceva proprio per noi, ci eravamo già ripromessi una volta di non ricadere in tentazione ed era andata peggio della volta precedente, quindi si su quel volere è potere avevo i miei dubbi, ed erano del tutto fondati del resto. "Oh andiamo.. Sappiamo entrambi che finiremo per fare l'esatto opposto!" Mormorai duro, abbassando lo sguardo sulla sua mano che si trovava sul mio braccio. Non è che quel contatto mi desse particolarmente fastidio, o mi dispiacesse, semplicemente visti i recenti trascorsi preferivo di gran lunga mettere almeno una manciata di centimetri di distanza tra noi, ecco tutto, ma dato che lei era la prima sostenitrice del "volere è potere" pensiero rimasi in quell'esatta posizione, senza fare lo scorbutico come mio solito ritraendomi all'istante, mi limitai a sospirare rassegnato, alzando gli occhi al cielo. La realtà era che, non c'era bisogno di ammetterlo, sapevamo entrambi che se fossimo rimasti sotto lo stesso tetto e le cose si fossero fatte nuovamente bollenti, avremmo rischiato di non fermarci, ecco perchè restavo dell'idea che, per quanto mi infastidisse il dover fare la cosa giusta, era proprio quello che stavo per fare. –La cosa giusta è rimanere con tua madre… è tanto che non passate del tempo insieme… credo sia arrivato il momento di redenzione anche per me… ed è per questo che sarò io ad andarmene.. è vero che sei stato un grande stronzo… ma sono stata io a metterti nella posizione di reagire in quel modo…- Puntai i miei occhi nei suoi, e le rivolsi un sorriso divertito, già nonostante la serietà del momento le sue parole mi aveva davvero messo addosso una gran voglia di ridere. "Sei impazzita?" Sibilai, tornando in me e riassumendo il mio atteggiamento da duro tutto d'un pezzo. "Tuo padre uscirebbe fuori di senno.. E mia madre darebbe la colpa a me, puoi starne certa!" Spiegai spazientito, ritirando il braccio e sottraendolo bruscamente alla sua presa. "Quindi io vado.. Tu resti, fine della storia!" Esclamai con tono deciso, stringendomi nelle spalle, talmente risoluto da non ammettere nessun tipo di ammonizione o replica. Ormai avevo deciso, le cose sarebbero andate esattamente come io avevo programmato, non si tornava più indietro. Mi alzai, pronto a tornare alla mia moto, metterla in garage per poi rintanarmi in camera mia e concedermi il mio meritato riposo. Rimasi in piedi, qualche istante, in completo silenzio a contemplare quella luna che Evie aveva descritto come bellissima, assorto nei miei pensieri, come se adesso lì ci fossi solo io. Stavo ripensando a tutto quello che Evangeline mi aveva appena detto, come ad esempio al fatto di essere stato uno stronzo perchè lei mi aveva messo nella posizione di farlo: stronzate! Mi comportavo così perchè quello era ciò che ero, il mio modo di proteggermi da tutto e tutti, di non permettere a nessuno di avvicinarsi a me più del dovuto, di evitare di restarci male per questo o per quell'altro motivo. Ripensavo a ciò che aveva detto su mia madre e sul fatto che avremmo dovuto trascorrere del tempo insieme, ma io non lo pensavo più così da un po' ormai, nonostante lei restasse l'unica persona al mondo che amassi realmente ed incondizionatamente. "Per la cronaca: mia madre starà molto meglio senza di me..." Mormorai, abbassando il mio sguardo su di lei, con un mesto e triste sorriso sulle labbra. Non che lei avesse chiesto il mio parere o altro, semplicemente avevo sentito il bisogno di condividere quel pensiero con qualcuno, o meglio con lei e non perchè fosse l'unica persona nei paraggi. Ero sempre stato dell'idea che se non fossi mai nato la vita di mia madre sarebbe stata di gran lunga migliore, non sarebbe stata costretta a sposare mio padre e subire per ben diciotto anni le sue angherie, diciotto anni di sofferenza, pene e dolori, forse avrebbe avuto una vita migliore, felice. Quei pensieri non mi facevano affatto bene, eppure ne ero sempre più convinto, soprattutto dopo il mio ritorno a casa. Avevo trascorso ben tre anni lontano da lei e cos'era successo? Aveva trovato un nuovo amore, una nuova famiglia e sorrideva, sempre, sorrideva come non l'avevo mai vista sorridere prima d'allora. Era felice. Sapevo che mi voleva bene, lo sapevo perfettamente, ma ciò non toglieva che le avevo reso la vita un inferno e che forse era proprio questa consapevolezza a spingermi a rinunciare a quel desiderio proibito che era Evie. Infondo non andavo mica dall'altra parte del paese, mi stavo semplicemente facendo da parte, lasciando che quella famiglia felice potesse finalmente godersi il suo lieto fine.
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    « someone’s bound to get burned, but just because it burns doesn’t mean you’re gonna die.. »
    AIDEN ISAAC ORTONSe c'era una ragione su tutte per cui stavo evitando Evie, quasi fosse un'appestata, era di certo il fatto che ritrovarmi faccia a faccia con lei mi avrebbe condotto ad affrontare i miei sensi di colpa, per quanto recentemente accaduto. Ero stato un vero stronzo, mi ero comportato come un perfetto pezzo di merda, e forse dopo tutto un po' lo ero. Mi sentivo in colpa per essere stato fin troppo duro con lei, avevo esagerato con i modi e soprattutto con le parole, infondo non era solo colpa sua se ci trovavamo in quella situazione. D'accordo lei era quella che aveva dato il via al tutto, ma è che mi fossi fatto pregare poi più di tanto per assecondarla. Insomma ce l'eravamo cercata, c'era sempre stata una sorta di elettricità, una carica particolare tra di noi, ma dal momento in cui le labbra di red angel si erano posate sulle mie, era stato come essersi risvegliati da un lungo torpore. Un po' come se il nostro subconscio avesse sempre saputo che era proprio quello ciò che più desideravamo, quello che nonostante i nostri litigi, e innumerevoli battibecchi, avevamo sempre voluto. Il fatto che adesso ne fossi consapevole non migliorava affatto le cose, semmai le peggiorava ulteriormente, perchè dovevo convivere quotidianamente con la certezza che mi sarebbe bastato avvicinarmi a lei appena un po' più del dovuto per combinare l'ennesima cazzata. In sostanza era un dato di fatto, se volevo che in famiglia le cose filassero lisce dovevo tenermi a debita distanza da quel diavolo tentatore che era al momento Evangeline per me. Mettere in pratica il mio piano, il prima possibile, era di certo la soluzione migliore, avrebbe evitato ulteriori complicazioni e permesso al resto della famiglia di andare avanti serenamente, com'era giusto che fosse.
    Vederla seduta sul portico di casa, al mio ritorno, non aiutava però la mia buona causa, ma ormai ero lì e lei era proprio di fronte a me, e per quanto la tentazione di andare per la mia strada ignorando la sua presenza fosse forte, mi costrinsi ad affrontare di petto quella situazione. Ero un uomo dopotutto, ed era giunto il momento di comportarmi come tale. Iniziare il nostro discorso con uno scambio di pareri sulla luna non era di certo il modo migliore, insomma era chiaro che avevamo due modi di vedere le cose nettamente contrasti, ma dopotutto era fin troppo normale. Chi infondo non amava la luna? Tutti la fissavano con perenne ammirazione, affascinati e rapiti dal suo rischiarare la notte, tutti eccetto me. Per me ciò che per il resto della popolazione era fonte di fascino era solo e soltanto causa di dolore, un dolore atroce ed inevitabile che ogni mese tornava prontamente a farsi vivo, ecco perchè quello scambio di battute non mi entusiasmava affatto, semmai mi rendeva più scorbutico del solito. Sospirai, lasciando che il discorso si spostasse su altro e cioè sul perchè si trovasse lì, fuori, in piena notte al freddo e al gelo. Presi posto al suo fianco, cercando di mettere almeno qualche centimetro di distanza tra noi, sempre certo che lo stare troppo vicino l'un l'altro non portava mai a nulla di buono. Il mio sguardo continuava a fissare qualcosa all'orizzonte, prima il ciglio della strada, poi le auto parcheggiate qui e là, poi il vialetto di casa ricoperto da una leggera patina ghiacciata, insomma tutto andava bene pur di non perdermi nello sguardo disarmate di Evie, per lo meno fino a quando non pronunciò quelle fatidiche parole –…mi dispiace di averti baciato-. Spostai all'istante il mio sguardo, fissando i miei occhi esattamente nei suoi, restando per appena un attimo in tacito silenzio. Diceva sul serio? Quelle parole erano dettate dalle circostanze, e cioè dal tentare ancora una volta di rimettere ogni cosa al suo posto, oppure si era sul serio pentita di ciò che c'era stato tra noi? Ma soprattutto quelle parole come avrebbero dovuto farmi sentire? Sollevato forse? E allora perchè una parte di me ne era profondamente dispiaciuta? Dopotutto me l'ero cercata, insomma dopo quanto successo potevo sul serio aspettarmi che fosse soddisfatta di quel bacio? Andiamo solo uno sciocco poteva pensare tanto, e strano ma vero quello sciocco ero proprio io. ".. Non a me.." Mormorai, in un sussurro appena udibile, prima di allontanare nuovamente il mio sguardo dal suo, dato quanto confessioni del genere mi facessero sentire particolarmente patetico e si anche, e soprattutto, vulnerabile. Avevo appena ammesso a lei, e a me stesso in un certo senso, che quel bacio mi era piaciuto e che per quanto fosse, obbiettivamente sbagliato, sarei stato più che felice di poter ripetere quell'esperienza. – so che non è una cosa normale… e so che mi sono fatta prendere un po’ la mano… ma non andartene… mi piace averti qui e sai anche tu quanto Mary ne soffrirebbe e di conseguenza mio padre… hanno finalmente ottenuto la famiglia che volevano, non roviniamo tutto per un.. errore- Che dire? Anche io avrei preferito restare a casa mia, non essere costretto a raccogliere le mie cose e togliere il disturbo, ma se ero così convinto nel farlo era proprio perchè non volevo rovinare tutto per quello che lei aveva appena definito un errore. Già se analizzavamo i fatti in modo razionale, allora non c'erano dubbi, si trattava di un errore, ma se guardavamo in faccia la realtà basandoci solo sulle nostre sensazione allora no, quello non era affatto uno sbaglio, piuttosto era fare ciò che desideravamo. Non capisci? Vado via proprio perchè non voglio rovinare nulla.. Se resto sono certo che andrebbe a finire così!" Esclamai stringendomi nelle spalle, tentando di mantenere la calma, visto quanto quel discorso mi rendesse particolarmente irritabile. Il punto era che lei non era la sola a ritenere piacevole avermi tra i piedi, anche a me la sua presenza non dispiaceva affatto, al contrario, i nostri battibecchi riuscivano talvolta a mettermi perfino di buon umore, stuzzicarla, farla innervosire erano i miei passatempi preferiti, ma proprio per questo andavano evitati. "Non è colpa tua.. Sto solo facendo la cosa giusta! Non voglio ferirti di nuovo, ne te, ne Richard ne mia madre. E scusa per essere stato lo stronzo che sono!" Un bel monologo che racchiudeva tutto quello che non avrei mai più ripetuto. Un unico doloroso sospiro che racchiudeva appieno il mio subbuglio interiore. Le scuse, le giustificazioni, non facevano parte del mio essere, ma stavolta non ero in grado di farne a meno, se volevo andar via da lì con la coscienza pulita, e l'anima in pace, dovevo fare quel piccolo ma necessario sacrificio. Mi sentivo vulnerabile come un bambino, ero talmente irrequieto da non riuscire a star seduto senza muovermi in continuazione, e fremevo dalla voglia di entrare in casa sparire sotto un ammasso di coperte e dimenticare quel momento così insolito e fin troppo intimo per il sottoscritto.

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    Can't you hear my heart beat so? I can't let you go, Want you in my life
    Jean Claude DurandSentire la voce di Ruthie attraverso la cornetta, quel pomeriggio, era stata una piacevole sorpresa. Lo era stato ancor di più leggere il suo nome sul display del cellulare. Si insomma non mi aspettavo una sua telefonata, non dopo quel pomeriggio al mystic grill. Il nostro incontro non era andato proprio alla grande, non era stato pessimo, ma nemmeno dei migliori, avevamo avuto di meglio insomma. Ecco perchè non credevo di poterla risentire tanto facilmente, e invece lei era sempre lì pronta a stupirmi. Amavo questo lato, non c'erano parole migliori per esprimere quanto questo tratto del suo carattere mi incuriosisse e stuzzicasse. Conoscerla era stata una continua e sorprendente scoperta, fin dal nostro primo incontro al Mystical night, era stata una faticata convincerla a darmi una sola e fugace possibilità, e da lì in poi era stato un susseguirsi di interessanti rivelazioni, non era stato proprio tutto in discesa, ne tanto meno rose e fiori, per noi, eppure a nostro modo eravamo riusciti a costruire quel nostro rapporto, non ben definito, che ci legava ormai da qualche mese.
    Ma le sorprese non erano finite, non per quel pomeriggio per lo meno. La più grande era stata proprio scoprire il vero motivo della sua improvvisa chiamata, ossia un invito. Non solo avevamo una sorta di appuntamento, per di più l'invito era a raggiungerla a casa sua, cosa che non mi sarei mai aspettato. Avevo messo piede in quella casa un'unica volta e non grazie ad un galante invito, mi ero presentato a casa sua nel bel mezzo della notte, ubriaco marcio, e da quel momento tutto era cambiato. Era stato proprio in quella notte che la nostra "relazione" aveva raggiunto un livello superiore, in quella notte lei era venuta a conoscenza della mia vera natura, le avevo lasciato conoscere la parte più intima del mio essere e lo avevo fatto perchè ai miei occhi appariva come la cosa più giusta da fare. Ecco lo strano potere che quella ragazza aveva su di me, tirar fuori la verità, non riuscivo a mentirle - non a lungo per lo meno - la sincerità era da sempre una delle cose fondamentali per me, ma con lei era come se non avessi alternativa, mentirle mi riusciva impossibile. Ricordavo perfettamente quella notte, attimo dopo attimo, ogni singola parola, ricordavo il palmo della sua mano che schioccava a contatto con la mia pelle gelida infiammandola, ogni sguardo, ogni tocco, io e lei insieme, il suo letto, noi due abbracciati, il suo dormire beato e il mio non riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Ebbene si avevamo trascorso l'intera notte insieme, cosa più che insolita per il sottoscritto, e da lì le cose si erano fatte un tentino più complicate, forse proprio perchè il nostro legame sembrava essere diventato apparentemente più solido e la cosa, conoscendoci, tendeva a confonderci e forse si, anche, a spaventarci. Ecco perchè tornare in quella casa mi faceva uno strano effetto, mi metteva una sensazione d'ansia addosso nonostante fossi ben felice di farvi ritorno. D'accordo forse l'ansia era dovuta anche ad altro, come ad esempio il fatto che ero andato a letto con la mia ex, non che tendenzialmente me ne facessi una colpa o me ne fossi pentito, non mi pentivo mai di ciò che facevo con molte probabilità perchè quando facevo qualcosa era perchè lo desideravo ardentemente. D'altra parte però sapevo perfettamente quanto non fosse qualcosa di piacevole per la controparte, ammettiamolo nemmeno io sarei stato felice di sapere che Ruthie avesse potuto avere qualche avventura nei mesi in cui eravamo stati così lontani, il solo fatto di sapere che aveva rivisto il suo ex mi infastidiva già più del dovuto, ma potevo farci? La gelosia era il mio più grande incubo. Ragione per cui, se volevo godermi quella serata, dovevo dimenticarmi di tutto e tutti e si anche della mia lancinante ed accecante gelosia.
    Parcheggiai la mia auto sul ciglio della strada, esattamente davanti al vialetto di ingresso di casa sua, e raggiunsi la porta, un bel respiro e il mio dito premette il campanello. Attesi pazientemente di vederla comparire sull'uscio di casa e quando la porta si aprii sfoggiai uno dei miei sorrisi migliori, infondo ero sul serio felice di vederla e a dirla tutta lei non sembrava essere da meno. La sua mano afferrò il mio braccio, attirandomi a se e in men che non si dica mi ritrovai dentro casa, con le sue braccia intorno al collo e le sue labbra sulle mie. "Mm.. Ciao anche a te!" Farfugliai con le labbra ancora attaccate alle sue. Ricambiai il suo bacio, con la stessa dolcezza, ma ancor più con lo stesso passionale desiderio che lei aveva riservato a me. Mi era mancata, dovevo ammetterlo, mi era mancata lei e la sua spontaneità, il suo modo di fare sempre così solare e con quell'immancabile pizzico di malizia, nei suoi occhi c'era sempre una luce così brillante che sarebbe riuscita a mettere di buon umore anche l'uomo più infelice, compreso un aspirante suicida. Ero stato talmente preso da quel momento e dal nostro essere tornati quasi di quelli di un tempo, da non accorgermi di quel che stava accadendo intorno a me. Spostai lo sguardo oltre la sua figura e guardandomi un po' intorno, notai che in casa regnava un'atmosfera che definirei quasi romantica, cosa che in un primo momento mi mise sugli attenti. Io e la mia solita diffidenza. Quello strano ed improvviso slancio d'affetto, l'invito, le luci soffuse, era un po' come se dietro tutto quello si nascondesse qualcosa. Ma cosa? Sapete no some si dice: quando il diavolo ti accarezza vuole l'anima! Già al momento lei appariva proprio come il diavolo tentatore. Puntai nuovamente il mio sguardo nel suo e con fare scettico ed il capo chinato da una parte, le palesai la mia confusione e i miei dubbi. "C'è forse qualcosa che dovrei sapere?" Chiesi incuriosito, con la fronte aggrottata, cosa che mi conferiva un aspetto ancor più diffidente. Anni e anni di esperienza tendevano a renderti terribilmente sospettoso, ma ancor prima che lei potesse rispondere ero stato distratto nuovamente da altro, una presenza per l'appunto, insomma non eravamo soli. Abbassai lo sguardo ai miei piedi, senza mai mollare la presa sulla schiena di Ruthie, e vidi una piccola pallina di pelo che scodinzolava felice. E quello da dove saltava fuori? Sinceramente non ricordavo avesse una cane, per lo meno l'ultima volta - che poi era anche la prima - in cui ero stato lì non c'era, insomma per quanto potessi essere ubriaco me ne sarei di certo accorto. "Ti sei fatta un nuovo amico?" Chiesi con un sorrisino beffardo sulle labbra, tornando a fissare i suoi splendidi occhi. Quella serata sembrava essere più strana di quanto potessi mai aspettarmi, o forse ero soltanto io il problema, io, la mia diffidenza e il mio carbone bagnato.

    featuring Gaspard Ulliel - SHEET - ISPIRED BY Cascada, Everytime we touch - DRESSES


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    CITAZIONE
    «Prima di avere il tuo corpo voglio il tuo nome, Signorina.»

    Ruthie cara stai attenta a come ti comporti! U.U Mica mi sono dimenticato quanto mi hai fatto faticare.. Mi segno tutto vedi eh?! -.- *JC*
    *Coff coff* questa role mi ricorda qualcosa! u.u
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    « someone’s bound to get burned, but just because it burns doesn’t mean you’re gonna die.. »
    AIDEN ISAAC ORTONEro stanco, lo ero davvero, stanco di tutto e tutti, stanco di me stesso. Da un mese a questa parte sembrava che tutto fosse ormai sul punto di andare a rotoli, con una cazzata dietro l'altra, avevano reso la mia vita un perfetto disastro. Ma non era tanto questo il problema, lo era più che altro il fatto di non essere in grado di risolvere i casini in cui mi ero ficcato con le mie stesse mani, mi sentivo come bloccato in qualcosa di più grande di me e forse lo era sul serio. Avevo superato di tutto nella mia vita, reso possibile l'impossibile, messo a posto ciò che credevo non sarebbe mai potuto tornare al suo posto, eppure di fronte alla situazione che stavo vivendo mi sentivo impotente. Probabilmente perchè per la prima volta, in ben 23 anni di vita, ciò che volevo non corrispondeva a ciò che andava fatto. Insomma ciò che era giusto per il resto del mondo, non era giusto per me e questo mi faceva sentire con le mani legate, letteralmente fottuto. In sostanza non sapevo sul serio che fare, sebbene mi fossi prefissato di tagliare definitivamente i ponti con la mia sorellastra questo non aveva comunque risolto tutti i nostri problemi. Al contrario, mi sentivo una vera e propria merda per il modo in cui l'avevo trattata, ero stato troppo duro con lei lo sapevo bene, avevo sbagliato. Baciarla, strattonarla, lasciarle i lividi ai polsi, erano stati atteggiamenti davvero ignobili. Se ripensavo a quella mattina in quel garage provavo ancora un irrefrenabile moto di nausea, non per il bacio, ma per tutto il resto. Il bacio, tendenzialmente, era l'unica cosa di cui mi sarei dovuto pentire ma del quale in realtà non mi pentivo affatto.
    Così mi ero ripromesso di mollare quella casa, di mollare lei, insomma di mollare tutta quella faccenda, anche se non ero ancora stato in grado di portare a termine il mio scopo al 100%, ci stavo lavorando ecco. La realtà era che una parte di me avrebbe tanto voluto poterle chiedere scusa, ma il mio orgoglio me lo impediva e l'alternativa era evitarla, tenerla a distanza. Ormai era poco il tempo che trascorrevo a casa, ma nonostante questo non ero ancora stato in grado di decidere di andare via del tutto. D'altra parte quella era casa mia, lo era stata così a lungo, la mia camera e il mio garage erano il mio mondo e sebbene trascorre del tempo con Juliet non mi fosse mai dispiaciuto, quella sorta di convivenza forzata non era proprio il massimo. Comportarsi quasi come fossimo una vera coppia non era poi così semplice, mi sentivo come intrappolato in qualcosa che non avevo mai chiesto, ne tanto meno desiderato. Mi sentivo in gabbia. Lo ero sul serio forse, non volevo lasciare casa mia, ma non ero nemmeno in grado di condividere quel tetto con Evie senza combinare qualche cazzata, e di certo non potevo nemmeno chiedere ad Evangeline di andarsene, ormai quella era anche casa sua e mia madre faceva parte della sua famiglia, eravamo un'unica famiglia per essere più precisi. L'unica cosa che potevo fare era trovarmi un posto tutto mio, vivere per i fatti mie senza dover pesare, ne contare su nessuno, il problema era che - nonostante mi fossi sempre ammazzato di lavoro - non avevo molti soldi da parte e quindi pagarmi una casa, le bollette e mantenere la mia moto sarebbe stato impossibile, per lo meno al momento. Avrei dovuto lavorare di più, magari fare dello straordinario al night e anche qualche turno in più in officina, questo mi avrebbe di certo permesso, in breve, di racimolare qualcosa. Beh per lo meno avevo un piano, bisognava solo metterlo in atto, pensavo tra me e me, negli spogliatoi del mystical night. Avevo finito il mio turno, era decisamente troppo tardi per andare a parlare con il responsabile e chiedergli di aggiungermi delle ore di lavoro extra, quindi avrei dovuto rimandare la messa in pratica del mio progetto. Mi sfilai la maglia nera della divisa, ed indossai il maglioncino con il quale ero andato a lavoro quella sera, un paio di jeans ed infine il giubbotto di pelle, assicurandomi di richiudere per bene la zip, visto e considerato che essendo notte fonda la temperatura era decisamente bassa ed io avrei fatto un bel giro in moto per raggiungere casa. Già quella sera sarei tornato a casa mia, avevo ancora delle cose da portar via da lì, e visto che il mattino seguente l'officina sarebbe rimasta chiusa, proprio come ogni sabato, avevo pensato di dedicare quelle ore libere alla sistemazione delle mie ultime cose.
    Spensi la moto, una volta raggiunto il vialetto di casa, invece di entrare direttamente in garage, sorpreso dalla vista della mia sorellastra che sedeva sui gradini della veranda di casa. Palesemente perplesso, mi chiedevo così ci facesse a quell'ora della notte lì fuori, al gelo, con una coperta sulle gambe, come una docile vecchina intenta ad ammirare il candido pallore lunare. Quasi frastornato, senza darlo a vedere, scesi dalla moto e mi avviai verso lei. –non è bellissima?!- Chiese con fare retorico. Le rivolsi un'occhiata contrariata, per niente grato del fatto che mi avesse appena ricordato che la luna piena era sempre più vicina e la cosa non mi metteva nemmeno lontanamente di buon umore. "E' solo una palla luminosa.." Mormorai con una punta ribrezzo, stringendomi nelle spalle. Non che è che ce l'avessi con la luna, più che altro con ciò che ad essa era legato, ossia le mie inevitabili trasformazioni e il loro lacerante dolore. La fissai ancora un attimo, sempre con fare incuriosito e sospettoso, prima che mi invitasse a prendere posto al suo fianco. Non so cosa mi avesse spinto a raggiungerla, piuttosto che ignorarla - proprio come avevo fatto negli ultimi giorni - e proseguire per la mia strada quella notte, ma ormai era fatta, ero lì, quindi tanto valeva finire ciò che avevo iniziato. -siediti qui con me.. ti ruberò solo una manciata di minuti..- Mi accomodai al suo fianco e, senza mai guardarla negli occhi, rivolsi il mio sguardo ad un punto imprecisato all'orizzonte, nel tentativo di mettere apposto quella matassa di pensieri che affollava la mia mente, prima di dire o fare qualche altra cazzata, che avrebbe peggiorato quella situazione già pessima. "Che ci fai qui fuori Evie? E' tardi!" Chiesi in un sospiro rassegnato. Quello era uno dei nostri momenti della verità, prima ci azzuffavamo come cane e gatto e poi provavamo a far chiarezza, in modo quasi civile, e chissà perchè lei sceglieva sempre i momenti peggiori, tipo quando ero stremato a causa della stanchezza.

    featuring Tyler hoechlin - SHEET - ISPIRED BY BEN COCKS, SO COLD - DRESSES


    role scheme © danny,, esclusivo per lo shadowsouls


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    jean claude durand » 24 years, 197 years old » vampire » teacher

    « I have died everyday waiting for you »

    Si è soliti dire che: il primo amore non si scorda mai.. Forse era proprio questo che rendeva quell'attrazione, quella passione e quei sentimenti così stranamente perfetti, ora come allora, sebbene fossero trascorsi più di centocinquant'anni dall'ultima volta che ci eravamo ritrovati l'uno così vicino all'altro. Per più di un secolo e mezzo, avevo lottato con me stesso, tentando in ogni modo possibile ed immaginabile, di dimenticare Rebekah, di dimenticare la sua esistenza e quanto averla nella mia vita mi mancasse. Adesso che quei sentimenti, messi a tacere tempo addietro, erano stati risvegliati mi rendevo conto che più che averla dimenticata avevo convinto me stesso di averlo fatto, ma la realtà era che lei e il suo ricordo erano sempre stati lì, ben nascosti da qualche parte nel mio essere, pronti a venir fuori non appena ne avessero avuto l'opportunità. Ed eccola lì, l'opportunità era stata data loro, ed io mi sentivo sopraffatto dalla prepotenza e la forza con cui erano tornati ad investire me e la mia anima. D'altra parte Rebekah era stata, senza ombra di dubbio il mio primo amore, forse anche l'ultimo - o quasi - dato che nessun altra era stata in grado di darmi quello che mi aveva dato lei, o forse ero semplicemente stato io colui che non era stato in grado di amare loro come avevo amato lei; nonostante Ruthie avesse sul serio cambiato qualcosa nel mio modo di vedere i fatti di recente. Il punto era che, con molte probabilità, non ero più in grado di dare quel tipo d'amore che avevo riservato a lei. Ciò che mi aveva legato a quella donna, era qualcosa di estremamente unico, un'amore incondizionato, ecco di cosa si trattava. Si, forse, era sul serio qualcosa che si poteva provare una sola volta nella vita. Le avevo dato tutto, forse anche più di quanto avrei mai immaginato di essere in grado di dare, le avevo dato me stesso, giorno dopo giorno le avevo concesso una parte di me, senza pretendere niente in cambio, ero suo, solo e soltanto suo, e lei poteva fare di me ciò che voleva, poteva darmi ciò che voleva, quando e come voleva. Probabilmente questo potrebbe sembrare un rapporto malsano, un legame non proprio salutare, eppure per me quella era la felicità. Nonostante le nostre incomprensioni, i nostri molteplici litigi, il suo provocarmi fino a condurmi allo stremo della pazienza, malgrado tutto questo io ero felice, soddisfatto, credevo davvero di avere tutto ciò di cui avevo bisogno. Se questo non era amore, allora cos'era? Un'amore tutto nostro, fatto di passione, possessione, e logorante gelosia, eppure ogni lite, ogni contrasto che ci vedeva protagonisti, non faceva altro che consolidare quel nostro legame, fatto un po' d'odio e un po' d'amore. Lo diceva perfino Catullo: odi et amo.. Presumibilmente era proprio la natura del nostro legame che non mi avrebbe mai permesso di dimenticare ciò che avevamo avuto, ne tanto meno di dimenticare lei.
    In balia dei ricordi, stordito dal rivere determinate emozioni, miste al rancore che mi aveva accompagnato per anni, infastidito da quelle sue infime insinuazioni, ero esploso, forse come mai avevo fatto prima d'allora con lei. Colto da un impeto tanto violento, quanto incontrollabile, l'avevo colpita con tutta la forza di cui ero capace, prima di provare il lancinante bisogno di farla mia ancora una volta. Dopotutto quegli anni non ci avevano affatto cambiati, dentro restavamo ancora i due giovani amanti di un tempo, impulsivi, passionali ed impetuosi. E nonostante fosse lei al momento, colei che teneva in mano le redini della situazione, colei che aveva il pieno controllo su di me, io non ero disposto a cedere alle sue richieste. Non avrei ammesso che lei mi fosse mancata ogni singolo giorno della mia vita, che avevo provato ad odiarla con tutto me stesso, che sentire la sua pelle a contatto con la mia, percepire le sue mani su di me, o semplicemente lasciare che il mio sguardo incrociasse il suo, anche per pochi istanti, che tutto questo e molto altro, mi fosse mancato come l'ossigeno mancherebbe ad un essere umano. Lei era stato il mio ossigeno per lungo tempo, il mio respiro. –chi ti dice che non voglia saperlo, Jean Claude?!- Non lo avrei mai ammesso perchè sapevo che infondo lei non era pronta a sentirselo dire, e forse dopotutto io non ero pronto per ammetterlo ad alta voce. Non era facile gestire quella situazione, gestire me e lei, il nostro rapporto rimasto in sospeso per così tanto tempo, le mille cose che non ci eravamo detto, soffermarsi a pensare a tutto questo al momento appariva ai miei occhi come qualcosa di altamente estenuante e non era quello il momento giusto per farlo. Adesso infondo ero io colui che conduceva il gioco, e lei era nelle mie mani. "Lo so perchè ti conosco..." Sussurrai sulle sue labbra, ancora troppo vicine al mio orecchio, prima di ricoprirle ancora una volta con le mie. Un tempo quelle labbra erano state la mia droga preferita, come un tossico non può fare a meno della sua dose quotidiana, io non potevo fare a meno delle sue labbra così magnificamente perfette, ne tanto meno del loro sapore afrodisiaco, dolce come la vaniglia a tratti pungenti e dal retrogusto speziato. ".. I sentimenti .. I miei sentimenti ti spaventano mon amour!" Mormorai con voce rotta per il desiderio e l'affanno di quel bacio che le avevo appena rubato con audacia. Lasciai che le mie labbra e le mie mani vagassero per il suo corpo, facendolo completamente mio, stuzzicandola e alimentando quel desiderio che vedevo crescere in lei, come benzina gettata sul fuoco. Noi eravamo nati per quello, per fare l'amore, perchè di questo si trattava. Non c'era fretta nei nostri gesti, ne abitudine, ogni movimento calibrato, ogni tocco mirava a dar piacere, ad accrescere il suo ed il mio all'unisono. In quello eravamo sempre stati grandiosi, potevamo non essere d'accordo sul molte cose, essere in disaccordo più volte di quante fossimo di comune accordo, ma quando finivamo nudi a rotolare tra le lenzuola allora viaggiavamo esattamente sulla stessa lunghezza d'onda. –no… perché so già la risposta..- Mormorò, portando una mano alla base del mio collo, così da impedirmi di continuare a tormentare il suo corpo con quei baci che avevano reso rovente la sua pelle, gelida per natura. Le rivolsi un ghigno compiaciuto, in tutta risposta, perchè si sapevo anche io qual'era la risposta a quella mia domanda, quasi, retorica e questo mi concedeva un briciolo di soddisfazione dopo anni di tormenti. Le nostre labbra si unirono ancora una volta, sebbene la sua mano si frapponesse ancora fra me e lei, con foga e desiderio. Il fatto che una parte di me fosse tenuta a freno dalle sue mani, non stava certo a significare che anche il resto del mio corpo se ne sarebbe rimasto buono in attesa che lei mollasse la presa. Al contrario le mie mani decise, più che mai, a farle perdere completamente il lume della ragione, come erano solite fare, si posarono dapprima sulla pelle candida della sua coscia raggiungendo poi, con estrema facilità, la sua intimità, ancora coperta da quel leggere pezzo di stoffa, tutto pizzi e merletti. Quel completino intimo era decisamente più sexy di qualsiasi altra cosa le avessi visto indossare nel lontano 800, ma tra poco sarebbe giunto anche per lui il momento di raggiungere il resto dell nostra roba, che giaceva ormai sul pavimento. Il desiderio ormai la faceva da padrone, i nostri corpi fremevano, decisi a porre fine a quella attesa estenuante e fu in quel preciso istante che le sue mani raggiunsero i miei jeans, strappandomeli letteralmente di dosso, appena l'istante prima di ridurre in brandelli i miei boxer. Avrei fatto ritorno a casa semi nudo, questo ormai era assodato, ma infondo ne era valsa decisamente la pena. Una frazione di secondo appena ed era di nuovo Rebekah colei che dominava, quasi del tutto nuda a cavalcioni su di me. La fissai appena un attimo, assuefatto dalla sua bellezza, dal suo essere sexy sempre e comunque, dal suo essere provocante come poche al mondo. Leggevo chiaramente il desiderio e l'eccitazione, nelle sue iridi che rispecchiavano le mie, dove vi si potevano scorgere le stesse identiche emozioni. –vuoi liberarti definitivamente di me, Jean Claude?- I suoi capelli solleticavano, sensuali, la mia pelle resa ultra sensibile dal desiderio. –vuoi tagliare di netto quel cordone ombelicale che ci unisce?- I suoi denti, affilati ed aguzzi come solo quelli di un vampiro sanno essere, mi laceravano la carne. Le sue mani scivolarono sulle mie braccia, bloccandole poi sulla mia nuca. –devi prendere una decisione, JC… in fretta..- Un gemito, di puro piacere, sfiorò le mie labbra e fui dentro lei. Chiusi gli occhi, sospirando, un sospiro misto ad un mugolio carico di piacere. Le mie labbra raggiunsero le sue, schiudendosi appena, spinsi la mia lingua tra la sua con foga ed un bisogno quasi animalesco. Un bacio che voleva dire tutto, che voleva dire che quello era proprio il luogo in cui dovevo essere e che quello era proprio ciò che desideravo. Passione mista a dolcezza, desiderio mescolato a sentimenti veri e logoranti. Mi spinsi sempre più nel profondo, con movimenti lenti ma decisi al tempo stesso, avevo bisogno di sentire che in quel momento eravamo un'unica cosa, io e lei stretti in un unico corpo. Liberai le mie mani dalla sua presa, sollevandomi dalla superficie di legno, andandole incontro. Pelle contro pelle, occhi dentro occhi. "Voglio te.. Adesso.." Ansimai sulle sue labbra, prima di rapirle ancora una volta con le mie. Non era una dichiarazione, significava esattamente ciò che avevo detto, che non importava nient'altro, se non il fatto che in quel momento quello era tutto ciò di cui avevo bisogno. Non di mettere fine a noi, di tagliare i ponti, di sbatterle una porta in faccia, solo e soltanto di quello, di me e lei l'uno dentro l'altro. Strinsi le sue gambe intorno al mio bacino, portai una mano dietro la sua schiena ed una tra i suoi capelli, mentre le mia labbra facevano proprio ogni lembo di pelle che erano in grado di raggiungere, assaggiare e assaporare, senza mai interrompere il ritmo delle mie spinte che andavano incontro alle sue. Ero a casa... Se ne avevo mai avuta una, era di certo quella.


    ¤ FEATURING: Gaspard Ulliel - ♪ inspired by I Was Here - quote of Christina Perri

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    JEAN CLAUDE DURAND » SCHEDA - DRESS - MUSIC - CREATED BY DANNY ©



    Edited by ..:Butterfly:.. - 17/12/2012, 22:40
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    jean claude durand » 24 years, 197 years old » vampire » teacher

    « only by admitting what we are can we get what we want »

    Difficilmente qualcosa, o qualcuno, riusciva a mettermi in soggezione, eppure in quel momento quella parola esprimeva appieno il mio stato d'animo. Ero irrequieto, forse come non lo ero stato mai, mi stavo lasciando sopraffare dai miei timori, e si anche dalle mie paranoie. Se avessi potuto scegliere di mollare quella lezione, e quegli studenti, prima del dovuto lo avrei fatto al volo. Sfortunatamente avrei dovuto trascorrere con loro ben tre ore, ergo dovevo stringere i denti e tirare avanti fino allo scadere di esse. Qualcuno probabilmente avrebbe detto che avevo il carbone bagnato, ed infondo forse quella era la pura verità. Una parte di me sapeva perfettamente che tra quei corridoi poteva aggirarsi qualcuno di mia conoscenza ed il fatto che quella mattina, una volta messo piede fuori dal letto, avessi convinto me stesso che tutto sarebbe filato liscio, che in quel liceo c'erano centinaia di altri ragazzi, questo non era bastato a levarmi di dosso il timore che da un momento all'altro lei potesse sbucare dal nulla. La recente visita di Rebekah mi aveva gettato nella confusione più totale, e al momento non ero certo di essere in grado di gestire un nuovo, possibile, incontro. Rebekah era la più grande incognita della mia esistenza, o meglio questo era ciò in cui si era trasformata da quando le nostre strade si erano incrociate nuovamente. Un tempo era stato l'esatto opposto, ossia la mia unica certezza. A lungo mi ero sentito smarrito, forse del tutto perso, poi era arrivata lei ed era stato un po' come rinascere. Brancolavo nel buio, lei mi aveva teso la mano guidandomi verso la luce, intensa e brillante come non mai, e così avevo ricominciato a vivere. Ma tutto cambia, il tempo ci mostra le cose per quel che sono realmente, e questo mi aveva portato a vedere Rebekah sotto una luce totalmente diversa, ben lontana da quella figura eterea di cui mi ero follemente innamorato. Ed ora, quel recente incontro e di conseguenza quel piccolo tuffo nel passato, avevano del tutto destabilizzato me e la mia visione dei fatti. Avevo bisogno di tempo, tempo per fare chiarezza, per pensare razionalmente e affrontare la realtà dei fatti, l'unico intoppo era che non avevo sapevo neppure da dove iniziare; ecco perchè al momento preferivo non pensarci e lasciare tutto esattamente così com'era. Ovviamente la consapevolezza che lei potesse trovarsi in una di quelle aule, rendeva tutto più complicato e questo spiegava il mio stare chiaramente sul chi va là. Dovevo concentrarmi, tenere la mia mente impegnata mi aiutava a dimenticare quel chiodo fisso che era Rebekah. Facile a dirsi, un po' meno a farsi, soprattutto quando hai la sensazione di avere puntati addosso due occhi inquisitori, che seguono ogni tuo movimento, anche il più impercettibile, squadrandoti da cima a piedi. Eppure io quella classe l'avevo passata interamente in rassegna, viso dopo viso, e in nessuno di loro avevo trovato qualcosa di familiare, ne tanto meno vi avevo scorto Rebekah. Ma allora perchè non riuscivo a scrollarmi di dosso quell'inquietante presentimento? Perchè c'era sul serio qualcosa che non andava, non ero ancora in grado di stabilire cosa, ma c'era qualcosa che proprio non quadrava.
    Con tanta buona volontà, quella che riservavo solo e soltanto al mio lavoro, riuscii a portare a termine le mie tre ore di lezione, senza sbottare tutt'un tratto mettendo su un vero e proprio interrogatorio. Se qualcuno aveva qualcosa da dirmi che lo facesse, altrimenti che uscisse da quella classe silenziosamente e mi lasciasse in pace, me e la mia coscienza già fin troppo in subbuglio. Con fare professionale conclusi l'ultimo argomento, che avremmo approfondito quella mattina, prima di salutare educatamente, e con grande garbo, gli studenti. Tutto sommato erano stati degli ottimi alunni, chi più chi meno, qualcuno si era perso un po' di volte come se io non mi trovassi nemmeno in quell'aula, ma nel complesso non potevo certo lamentarmi. A dirla tutta ero abituato ad una mandria di scalmanati che, durante le mie spiegazioni, faceva tutto eccetto seguire i miei discorsi, come ad esempio lasciare i loro numeri di cellulare appuntati sui test di metà semestre. Ebbene si, quelli erano proprio i miei studenti, ormai ci avevo fatto l'abitudine, ma non perdevo mai la speranza di riuscire, forse un giorno, a ficcare qualcosa di buono nelle loro zucche vuote.
    Una volta compiuto, in maniera impeccabile come sempre, il mio dovere presi a raccogliere le mie cose. Mi voltai, dando le spalle all'intera classe, raggruppando in un unico punto tutta la roba sparpagliata sulla cattedra, ma prima che riuscissi ad occuparmi degli ultimi libri rimasti accadde qualcosa di insolito. Avevo percepito chiaramente l'avvicinarsi di qualcuno, senza prestarvi però nessuna attenzione, certo che si trattasse di qualche ragazzo che, con molte probabilità, aveva dimenticato qualcosa in classe. L'aula si era ormai svuotata del tutto e gli unici presenti rimasti eravamo io e la strana ragazza dai capelli biondi, che si era fatta sempre più vicina. Con un movimento rapido, e impercettibile ad un comunissimo occhio umano, la sua mano raggiunse uno dei miei libri, lo attirò a se, per poi piegarsi sulle ginocchia, nel vano tentativo di fingersi una gentilissima alunna che raccoglieva il libro del distratto professore, che non aveva notato fosse finito per terra. Peccato che il professore non era poi così distratto e che i suoi riflessi fossero, forse, ancor più ben allenati di quelle della sconosciuta, chiaramente non umana. Ebbene si, era proprio quella la verità dei fatti, un'umana non avrebbe mai, e dico mai, potuto compiere quel gesto in modo così rapido, si era trattato di una frazione di secondo appena. Le puntai gli occhi addosso, fissandola con fare perplesso e dubbioso. Sul mio viso era ben visibile un'enorme punto interrogativo, che diceva chiaramente: "guarda che non me la sono bevuta". «Uhm, Mr..Durand. Credo che questo le appartenga» Punto primo: la signorina apparteneva, senza ombra di dubbio, a coloro che durante la lezione avevano, lautamente, ignorato tutto ciò che veniva fuori dalle mie labbra, dato che non aveva prestato attenzione nemmeno al mio nome. Secondo: non c'erano dubbi nemmeno sul fatto che quel libro mi appartenesse, dato che lo aveva preso dalla mia cattedra, per poi fingere di gettarlo al suolo e di conseguenza recuperarlo. Le stranezze erano all'ordine del giorno a Mystic Falls! "Già.. Mi chiedo come abbia fatto a finire per terra se era proprio qui davanti ai miei occhi!" Dissi con fare saccente ed una punta di sarcasmo, che non guasta mai, indicando con esattezza il punto in cui si sarebbe dovuto trovare il libro incriminato. Probabilmente alla ragazza sfuggiva il fatto che, davanti ai suoi occhi, non aveva uno di quei surrogati di professori ai quali era abituata. La rivolsi un mezzo sorriso, mentre allungavo la mano e afferravo il libro, che ancora stringeva tra la sua. "Immagino che dovrei ringraziarla.. Signorina?" Chiesi con un pizzico di bon ton in più, senza nascondere minimamente quanto trovassi inverosimile quella situazione. Per la prima volta le rivolsi un'occhiata interessata, esaminando attentamente la sedicenne, che con molte probabilità era un mio simile. In lei c'era qualcosa di stranamente familiare, cosa di cui non mi ero reso conto durante quelle tre ore, ma adesso, che me la trovavo praticamente sotto il naso, ero quasi certo di averla già vista prima; il punto era: dove? E perchè? No, non erano i suoi capelli biondi, gli occhi chiari o il fatto che fosse incredibilmente carina, a renderla familiare. D'accordo rispecchiava esattamente il mio ideale di donna, ed io non ero il tipo da non notare una bella ragazza - più che bella in questo caso - ma non era questo ciò a cui ero interessato al momento. Innanzitutto per quel che ne sapevo era appena una ragazzina, certo poteva anche avere il doppio dei miei anni se si fosse rivelata essere sul serio un vampiro, ma tralasciando questo ciò che in quel preciso istante aveva colpito la mia attenzione era tutt'altro. Ero quasi certo di aver già visto quei tratti da qualche parte, eppure quella era la prima volta che mettevo piede in quel liceo, potevo averla notata anche altrove ma il problema era che mi sfuggiva proprio questo piccolo particolare. E poi perchè aveva messo su tutta quella messa in scena? Non aveva affatto l'aria di una che si fosse avvicinata per provarci con il nuovo e affascinante professore, ma allora cosa l'aveva spinta a raggiungermi? "Ci siamo già incontrati da qualche parte?" Chiesi incuriosito con tono di voce suadente, guardandola dritto negli occhi, mentre le nostre mani tenevano ancora il libro a mezz'aria. Dovevo ammetterlo, adesso ero io quello che sembrava provarci, ma non erano queste le mie intenzioni, il fatto era che evidentemente continuava a sfuggirmi qualcosa. Prima quello sguardo insistente, poi l'arrivava di una misteriosa ragazza che si fingeva colta da un raptus di gentilezza, per concludere con quella strana sensazione. Era come se un piccolo campanello d'allarme si fosse appena accesso e mi stesso incitando a fare due più due, il fatto era che se se avevo ben chiaro quale fosse il risultato di quella semplice addizione, non avevo la più pallida idea di cosa stesse accadendo in quella classe quel pomeriggio. Ma soprattutto chi era l'affascinante sconosciuta?

    ¤ FEATURING: Gaspard Ulliel - ♪ inspired by Young Girls - quote of Game of Thrones

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    JEAN CLAUDE DURAND » SCHEDA - DRESS - MUSIC - CREATED BY DANNY ©

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