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Dicembre/quarta settimana/venerdì/sera

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    Evangeline Nicole Austen

    ¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨¨ SCHEDA PERSONAGGIO - Cacciatrice/cubista, 18 anni | ¤ featuring Evangeline Lilly
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    Quella era stata una settimana piuttosto strana ed intensa, per me. Con Aiden stava andando tutto alla deriva, nel senso che non ero più in grado di controllare la situazione: egli risultava sfuggente, se prima ci incrociavamo anche solo per sbaglio tra i corridoi di casa, dal momento in cui le nostre labbra si sfiorarono per la seconda volta, ciò non accadde più. Non sapevo se si fosse già trasferito a casa della sua fidanzata o se stesse deliberatamente cercando di ignorarmi, e non ero nemmeno così sicura di voler sapere quale delle due opzioni rappresentasse la realtà. Avrei potuto chiedere a sua madre, questo è vero, con quella incuranza di fondo che mi caratterizzava la maggior parte delle volte, per poi, però, tormentarmi nel pensare e ripensare alla situazione che mi sarebbe risultata più chiara. Per una volta in vita mia, volevo rimanere nell ombra, senza sincerità e verità. Forse il mio era un pensiero piuttosto sciocco e infantile, ma ad oggi mi stava bene così. Non lo avrei cercato io, per la seconda volta, né mi sarei scusata con lui. Era giusto lasciargli tempo e spazio per riflettere e per poter prendere da solo decisioni che reputava più giuste. Io avrei fatto la medesima cosa, senza, però, perdere ciò che era la mia quotidianità: nessuno si sarebbe accorto quale tormento interiore avessi, avrei continuato ad andare a scuola, lavorare di sera e uccidere creature di notte. Un circolo vizioso che non lasciava alcun respiro, in cui mi sarei buttata a capofitto, mettendo testa e cuore in ogni singola azione; ciò avrebbe contribuito ad evitare alla mia mente di soffermarsi sulla falla presente nella mia situazione sentimentale.
    Non ero mai stata brava in questo genere di legami, troppo spirito libero e autoritaria per far si che un'altra persona controllasse i miei spostamenti, ma in questo preciso istante mi sentivo più smarrita che mai. Avevo valicato quella linea di pudore che nessun essere umano dovrebbe varcare, e lo avevo fatto per ben due volte, e, parlandoci chiaramente, se mi si fosse presentata l occasione lo avrei fatto per la terza e quarta volta. Non mi faceva onore, pensare e affermare queste cose, ma erano frutto di una realtà che solo un cieco non avrebbe visto. Tra me e il mio fratellastro era scattato qualcosa fin da subito, quella cosa che ci aveva spinti ad attaccarci per poi trasformarsi in altro, in un attrazione che cresceva ogni volta che ci trovavamo vicini, nella stessa stanza e soli. Soprattutto dopo aver capito che le labbra dell altro sarebbero diventate una droga più che invitante. Ma non si poteva. Ed era bene prendere due strade differenti perché, e questo era vero, avremmo rovinato la vita dei nostri genitori. Per quanto quella famiglia allargata non mi piacesse, amavo vedere il mio vecchio finalmente felice. Sereno come non lo vedevo da quando mia madre ci aveva abbandonati. Non avrei mai potuto fargli questo, non avrei mai potuto anteporre la pazzia di un momento –o più momenti che dir si voglia- al clima di beatitudine che era riuscito a stabilire. Per tale ragione, mollai la presa su Aiden, non lo cercai né feci in modo di trovarci nello stesso posto allo stesso momento, perché era giusto così. Per entrambi ma soprattutto per quella famiglia di cui, ahimè, facevamo parte. Come precedentemente detto, mi gettai su quello che era il mio lavoro, non tanto quello da cubista irraggiungibile, quanto quello di cacciatrice di mostri. Sebbene le mie prede predilette erano i vampiri, non è che i licantropi mi andassero troppo a genio, in particolar modo quelli assetati di vendetta nei confronti di tutti. Dopo il mio turno al pub, scovai un vampiro grande e grosso che si stava “approfittando” di una ragazza proprio dietro al locale. L aveva certamente soggiogata, dato che ella gli offriva la carotide senza batter ciglio, ma non fu poi così difficile farle capire, dopo averla strattonata, di dover scappare a gambe levate. Non mi era molto chiaro il modo che i vampiri avevano di ammaliare le proprie prede, ma non era di certo il momento ideale per chiedersi qualcosa del genere. Notai lo sguardo colmo di sorpresa e anche odio che il vampiro mi regalò, e capii da me che affrontarlo, ora come ora, non era la scelta più saggia: era alto quasi due metri e grosso il triplo di me, il confronto fisico non avrebbe lasciato alcun dubbio sulla sua vittoria. Quindi cosa feci?! Scappai. L errore più grande che si possa fare, lo compii, presa dal timore, vero e reale, di dovermi battere con una creatura così maestosa. La paura mi assalì, ed io ne fui succube, tanto che avventatamente iniziai a correre in direzione opposta alla sua, annullando con un colpo di spugna tutti gli insegnamenti di mio padre. Ma non c ero con la testa. Avevo scollegato il cervello, vuoi per la stanchezza accumulata, vuoi per lo spossante esercizio fisico, ma annullai ogni pensiero e mi comportai proprio come una teenager davanti ad una situazione di pericolo. Non passarono che un paio di secondi che il vampiro mi si palesò davanti, gettandomi a terra con un unico colpo della mano, ed io caddi con il sedere a terra e con la sua figura proprio su di me, agghiacciante e incombente. Evitai di guardarlo negli occhi, in quelle iridi pulsanti di un color rosso fuoco, in modo da non esser soggiogata, ma lui afferrò il mio viso con una sola mano ed, esercitando una forza a cui non seppi ribellarmi, mi voltò verso di lui, occhi negli occhi. Cercai con forsennata rapidità il paletto che tenevo dentro lo stivale di pelle nera, ma non riuscivo a raggiungerlo, e più cercavo di sfiorarne la consistenza con le dita, più sentivo le mie difese crollare, inspiegabilmente –shh… non ti dimenare, ti prometto durerà poco..- mormorò il vampiro ad una distanza super ravvicinata, sorridendo in un modo che mi diede il voltastomaco. Avrei voluto ridergli in faccia, perché figurarsi se avessi evitato di combattere, ma ecco che il mio subconscio, comandato da lui, iniziava a far rilassare il miei muscoli. Impossibile. La mia mente, lucida, lottava contro l impulso di far cadere le barriere difensive proprio come il mio cervello mi stava ordinando, ma non riuscii a far altro che smetterla di cercare con una certa fretta il paletto di legno. Ero succube, succube del volere di un vampiro, troppo stupida per annullare del tutto i pensieri che, con tutte le mie forze, respingevo con forza, fingendo che tutto fosse ok. Ed ora non ci sarebbe stato mio padre a salvarmi il culo, ora mi sarebbe servito solo un miracolo affinchè il vampiro non mi succhiasse via la linfa vitale nel mio corpo. E sebbene morivo, dentro, di paura, era come se una parte di me si aspettasse, da un momento all altro, che qualcosa o qualcuno sferrasse il colpo della vittoria. E fu così che successe. Sentii che i cento e passa chili del vampiro vennero buttati a lato ed un viso, che io vedevo al contrario data la posizione assunta, affiorò per palesarsi al mio cospetto. Ci misi un po’, prima di comprendere chi diavolo fosse, ma tutto mi fu più chiaro quando riconobbi una cicatrice, che dallo zigomo sinistro scendeva lungo la guancia, unica nel suo genere. –Shane…- furono le prime parole che mi uscirono, sospirate, mentre rimanevo ancora pietrificata dalla paura e dall ordine impartitomi dal vampiro, giacente al suolo, morto. Ripresi fiato, inspirai con forza ed espirai con altrettanta sofferenza, perché per la prima volta, sul serio, avevo visto in faccia la morte e l avevo scampata per un soffio. E non grazie a me. Non grazie a quell impulsività che mi aveva fatto agire da stupida inesperta. Una mano andò sulla fronte, bagnata di un sudore lieve e freddo, mentre l altra fungeva da perno tra me e il pavimento sassoso sopra il quale ero sdraiata. Mi tirai, quindi, su con la schiena, guardando la sua figura imponente e ancora in piedi. Non sapevo se esser schoccata nel vederlo o se esserlo per il tempismo con cui era entrato in scena -…non c era bisogno che intervenissi..- ecco che la parte orgogliosa e altezzosa del mio esser prendeva piede, annullando momentaneamente la sensazione di disorientamento appena provata, senza che potessi esprimergli la mera gratitudine che sentivo per il suo arrivo. Sapevamo entrambi che, se non fosse arrivato, a quest ora ero solo una carcassa morente. Ma sapevamo, sempre entrambi, che non lo avrei mai ammesso a voce alta -…attendevo solo il momento giusto per colpirlo- mentii spudoratamente, e nel farlo mi morsi il labbro inferiore, convincendomi che la mossa migliore fosse quella di raggiungere, per quanto potessi, la sua altezza. Mi tirai, quindi, in piedi, andando a schiaffeggiare quelle parti sporche e colpite dalla “lotta” con il vampiro, rendendo successivamente le braccia conserte sotto il seno coperto da una maglia luccicante e di un panna intenso -…sono comunque felice di vederti…- mormorai, cadenzando le parole in quel modo lussurioso e vagamente malizioso che rendeva maggiormente il concetto sfoggiando il mio sorriso più intraprendente possibile. Era come se il fatto che stessi quasi per morire non fosse più importante, non messo a confronto con la sua visione. Non mi sarei aspettata di vederlo a Mystic Falls, non così presto per lo meno. Ero stata io a parlargliene, ma qualcosa mi diceva, il mio sesto senso, che non era lì per me..




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    Mystic Falls era il centro dell’inferno. Lo rappresentava, in ogni senso possibile. Ci vivevo da un paio di mesi ormai, e questo tempo l’avevo sfruttato per osservare e capire in quale terra sperduta fossi capitato. Non era servito molto per arrivare a definire quella città un inferno vero e proprio, in quanto si aggiravano per le strade più vampiri di quanti io ne avessi mai visti in un solo luogo. Questo rendeva la mia presenza lì ancora più valida, annullando definitivamente i dubbi che inizialmente mi avevano assalito, riguardo Celeste soprattutto. In un certo senso, quando avevo appreso la veridicità della lettera che la madre mi aveva inviato, avevo anche fatto una promessa a me stesso, cioè quella di tenerla sotto controllo, in qualche modo conoscerla ed occuparmene. Non ero stato pronto a farlo da subito, ma quando l’avevo conosciuta mi era scattato qualcosa dentro che mi aveva portato a rimanere. Forse in comune non avevamo quasi niente, ma il sangue di certo si. Senza contare le nozioni sugli esseri che popolavano il pianeta e che la madre mi aveva fatto capire di conoscere. Avevo scelto di restare, alla fine, sia per i miei interessi, visto che la mia sorellastra mi serviva per sbloccare qualcosa che avevo dentro, sia perché quel posto pullulava di vampiri e potevo sfogare la mia frustrazione in modi che ben conoscevo e che mi entusiasmavano non poco. Oltre ciò c’erano le indicazioni che Evangeline mi aveva dato sul luogo, di cui mi aveva parlato ma che avevo preso in considerazione per davvero soltanto quando avevo avuto le informazioni che mi interessavano su Celeste. Era una bella coincidenza, questa. E cioè, quella di dover avvicinarmi ad un membro della mia famiglia e, al contempo, trovarla nello stesso posto in cui si era trasferita l’altra cacciatrice. Ma non ero il tipo che si faceva delle domande su queste cose, ne mi ponevo degli obiettivi sui legami da instaurare o su come legarmi ad una determinata persona. Non ero proprio il tipo che si legava, a prescindere dal soggetto o dalla situazione. Amavo, fondamentalmente, tenermi a debita distanza dalle persone, riflettere sull’influenza che questa doveva aveva sulla mia vita, e andare avanti per la mia strada. Ed avevo avuto un ulteriore conferma di ciò proprio quando avevo conosciuto Celeste. Innanzitutto non le avevo detto chi fossi in realtà, perché non ero pronto affatto. La famiglia aveva avuto sempre un ruolo fondamentale nella mia vita, e infatti la vendetta e la rabbia che covavo erano appunto per un membro di questa. Il fatto che non amassi legarmi a qualcuno, che fino a quel momento pur avendo il mio stesso sangue restava una sconosciuta, mi aveva portato inconsciamente a mettere un muro, a sentire di avere in comune con quella persona il sangue ma nient’altro, di doverla conoscere e non fidarmi. E in realtà per me non era neanche un problema. Ma sapevo che poteva esserlo per chi si trovava a vivermi per più di una settimana. Infatti era capitato che questi non riuscissero a comprendere il mio atteggiamento, la mia freddezza. Il che rendeva complicato il tutto soprattutto perché io non mi mostravo così interessato ad essere compreso. Quindi il tutto, qualsiasi legame, andava a slegarsi nel vero senso della parola in pochissimo tempo. Parlando, nello specifico, di Evangeline, si trattava di qualcosa di diverso per due semplici ragioni: 1) non c’era nulla che andasse oltre un semplice rapporto di conoscenza, a parte le piccole scaramucce obbligatorie per due come noi e una piccola parentesi di sesso (u.u); 2) non ci aspettavamo nient’altro. Aveva avuto fin da subito la possibilità di testare il mio caratteraccio, così come io avevo avuto modo di verificare personalmente il suo essere spigliata, intraprendente e maliziosa, il più delle volte. Delle cose che ci portavano a scontrarci irrimediabilmente. Quella sera, invece, le avrei salvato il culo nel vero senso della parola, proprio grazie alla mia intraprendenza e al mio istinto. Avevo deciso di seguire un vampiro, che la sera prima avevo già visto ma a cui non avevo potuto badare perché ero stato fermato nel bel mezzo del nulla da due religiosi che cercavano di inculcarmi delle nozioni base in cui credevano davvero molto. Io avevo smesso di farlo da un bel po’ ormai, ma fui abbastanza intelligente da non dire nulla al riguardo, altrimenti non avrebbero più smesso di farmi domande o semplicemente parlarmi. Quindi, dicevo, una volta incontrato quel vampiro ed appreso che era intenzionato a scolarsi qualche drink, decisi di attendere fuori, in un posto leggermente nascosto, in modo tale da non farmi vedere, e di prenderlo alla sprovvista una volta fuori. Mi distrassi e non vidi che era già fuori da qualche minuto, che si nutriva facilmente di una ragazza, ma quando sentii dei rumori, probabilmente per via di qualche secchio dell’immondizia, capii di dovermi fare avanti. Cosa che non potei fare perchè mi resi conto che qualcun altro, a sua volta, era intenzionato a fare la mia stessa cosa. Ovviamente riconobbi subito quella persona. Questo non perchè la conoscevo così bene, quanto perchè mi bastò poco per fare due più due –cacciatrice, Mystic Falls, e vista di spalle- per dedurlo. Non essendo sicuro di mostrarmi o meno al suo cospetto, le lasciai il lavoro sporco, con il solo intento di vederla combattere e poi andarmene. La prima cosa potei farla, in quanto lo affrontò da subito, liberando quella povera ragazza dal suo incantesimo; la seconda no, perché la stazza fisica di quel vampiro, con l’inesperienza –c’è da dirlo! u.u- di Evangeline, capovolsero la situazione. E anche lì non feci nulla, non subito. Attesi che reagisse, ma mi sembrò quasi impietrita, quindi la smisi di fare l’idiota e mi avvicinai velocemente ai due. Con entrambi le mani e con tutta la forza che mi esplodeva dentro ogni qualvolta avevo a che fare con questi mostri, lo lanciai dall’altra parte del vicolo, quasi contro il muro, anche perché la distanza da questo non era molta, quindi la cosa fu abbastanza facile e, dando il profilo ad Evangeline, trafissi il cuore di questo con un colpo secco. Fui meravigliato, qualche secondo dopo, nell’apprendere che non mi ero neppure sporcato. Cosa assai rara, badate bene. Questo perchè quando mi prendeva quella foga, sembravo io stesso un vampiro, facendo di questi carne da macello. Delle volte mi chiedevo se fosse, ciò, responsabilità di mio padre, di quel potere che Celeste aveva e di cui la madre mi aveva parlato. O se ero solo troppo vendicativo e arrabbiato per potermi controllare. ”–Shane…-” Stavo fissando il corpo, di cui mi sarei dovuto liberare, quando la sentii dire il mio nome, quasi meravigliata. O forse era sotto shock perché era quasi morta. In ogni caso, sospirai, e lentamente mi voltai verso di lei, in tempo per vederla rialzarsi da sola. ”-…non c era bisogno che intervenissi..-” Da quando mi ero voltato verso di lei, questione di secondi, non avevo detto una parola. Non che fossi un tipo loquace, del resto. Per pareggiare i conti del mio silenzio la fissavo con estrema decisione, ma freddamente. ”-…attendevo solo il momento giusto per colpirlo-” Ovviamente. Inclinai di poco il capo, e nel farlo i miei occhi, sotto la luce fioca del lampione, riuscirono a cogliere la postura delle sue braccia, conserte e quasi ad aumentare la prosperità del suo seno, e il contrasto della maglia chiara con una striscia, di piccole gocce, di sangue. La bocca sporca del vampiro, del sangue di quella ragazza. Se non fosse intervenuta Evangeline, sarebbe morta, anche se poi aveva rischiato la stessa sorte. -Hai del sangue.. sulla spalla- mormorai, con il mio solito tono di voce piuttosto rauco. Era un timbro strano, il mio. Così caldo di norma, da risultare sconosciuto se veniva paragonato al mio sguardo. ”-…sono comunque felice di vederti…-” Annuii, quasi automaticamente, non lasciandomi condizionare da quel suo modo di fare che, in altri casi, sarebbe risultato alquanto intrigante. -Lo credo bene..- risposi, quindi, alzando un sopracciglio irriverente, alludendo al fatto che se non fossi arrivato, addio Evangeline Austen. -E.. mi sembra una buona cosa vedere che sei ancora tutta intera- Ne avevo dubitato, di tanto in tanto, in questi mesi. Perché era così.. insomma, lo sapete! Inoltre quello era il mio modo, stavolta non ironico, per dirle che ero felice anche io di vederla. Mi avvicinai al vampiro e gli afferrai le braccia, trascinandolo fino alla fine di quel vicolo, per nostra fortuna abbastanza lungo da risultare irraggiungibile dalla strada –se non per loschi motivi- con l’intento di gettarlo nel contenitore e dargli fuoco. -A te l’onore- commentai, una volta agito in prima persona. Com’è che diceva sempre mia madre? Prima il dovere poi il piacere.

    Scheda, QUOTE BY Beauty and The Beast CW, © danny


     
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    What if…?



    Io e Shane avevamo un rapporto particolare. Era da sempre stato così. Troppo simili sotto alcuni aspetti tanto quanto diversi sotto altri. Lui con il suo caratteraccio, io con la mia pungente ironia avevamo capito, ben presto, che una collaborazione sarebbe risultata assolutamente distruttiva. Questo era il pensiero originale. Poi le cose erano cambiate. In un certo senso avevamo imparato a conoscerci e avevamo, lievemente, smussato quelle angolature che all altro davano tremendamente fastidio. Continuavamo a detestarci, sarebbe sempre stato così, ma in fondo ci volevamo bene. Ci apprezzavamo. E ciò ancora prima di far sesso. Si, avete capito bene. Io e Shane ci conoscevamo meglio di quanto potevate immaginare. Non era stata una notte di amore, non c era stato un continuo… avevamo condiviso un momento speciale, bello e interessante, ma era finita lì. Il motivo era che, come comune denominatore, entrambi volevamo esser liberi. Odiavamo legarci e cercavamo il modo migliore per fuggire da un ipotetica storia. Se le cose tra me e Shane si fossero sviluppate in altro modo, credetemi che l esser cacciatori sarebbe passato in secondo piano. Sarebbe scattata gelosia, invidia, passione e possessione e non potevamo permettercelo. Così ci eravamo allontanati ancor prima che tutte queste emozioni potessero fare il loro corso. Dentro di me, però, continuavo a pensare che Shane mi era tremendamente mancato. Lui faceva parte della mia vita in Iowa, era ciò che mi rimaneva della mia precedente vita. Mi mancava la mia vecchia me, mi mancava la mia città e mi mancava quel senso di indipendenza che qui, in una cittadina sperduta, veniva inevitabilmente meno. Era come se, avendo visto Shane, avessi scorto uno spiraglio per ritrovare quell Evangeline che si era persa strada facendo, lasciando il posto, invece, ad una brutta copia, capace di provare attrazione per il fratellastro. Che cosa orribile! Ma la cosa ancora più sconcertante era il fatto che non riuscissi ad oppormi all effetto che la sua vicinanza mi suscitava. Forse sperai, inoltre, che l arrivo di Shane potesse distogliermi in modo tale da scoprire che, invece, potevamo avere una chance. Non amavo fare programmi né stipulare una sorta di accordo amoroso con me stessa, ma era inevitabile pensare che io e lui avessimo feeling. Quindi perché non sfruttarlo? Perché non prendere la palla al balzo per vedere che diavolo poteva succedere?! Avevo appena visto la morta in faccia, e avevo capito che era giusto cogliere il momento… carpe diem. Avrei probabilmente fatto più velocemente chiarezza in me stessa, se mi fossi buttata in qualcosa di inaspettato e che mi faceva tremendamente paura.
    Mi alzai da terra, non appena il vampiro venne ucciso a sangue freddo dallo stesso Shane, ed io mi soffermai a fissare quest ultimo. Avevo sempre provato una certa invidia per il modo del tutto naturale con cui uccideva. Era come se sentisse una scarica di adrenalina un secondo prima di conficcare il paletto nel cuore del malcapitato e si trasformasse, egli stesso, in carnefice. Probabilmente avrei dovuto aver paura di lui. Avrei dovuto accorgermi che vi era, effettivamente, qualcosa di sospetto in Shane, ma avevo affidato così tante volte la mia vita nelle sue mani da potermi fidare ciecamente della sua persona. Cosa del tutto ironica, visto che ero un essere diffidente per natura. Ma, appunto, avevamo cooperato a stretto contatto da riuscire ad avere un posto assicurato nella mia schiera di persone fidate. Probabilmente avrei dovuto esordire con un “che piacere rivederti” oppure con “grazie per avermi salvato il culo, di nuovo” ma fu più forte di me, e dovetti far la superiore quando era evidente che, se non fosse giunto Shane, a quest ora sarei stata una carcassa per gli avvoltoi. -Hai del sangue.. sulla spalla- non mi era passato inosservato il suo sguardo posarsi minuziosamente sul mio generoso seno, e fu per questo che mi ritrovai a sorridere a trentadue denti, rimanendo nella medesima posizione di prima, con il busto leggermente in avanti e le braccia conserte. I miei occhi non la smettevano di insinuare il suo viso, così dannatamente crucciato da esser fin troppo sexy. Aveva il fascino dell uomo misterioso, di colui che prende e se ne va, ti fa tua, e tu, incapace di dirgli di no, continui a subire le sue angherie. Ovviamente tutte tranne io, perché non era nel mio stile farmi usare per poi buttarmi in un angolino. E lui lo sapeva bene. Alzai giusto una mano che andò sulla spallina della canottiera che indossavo, pulii via il residuo di sangue sulla mia pelle per far scivolar via, successivamente, la stessa spallina, scoprendo in quel modo la seducente spalla. Inclinai di poco il capo, andando ad accarezzare debolmente la parte scoperta con la guancia, mentre i miei occhi famelici lo puntavano –che dici, la tolgo questa?- domandai con fare certamente sensuale, in tono soffiato e basso, mentre facevo scendere la stessa mano verso il bordo della maglia, facendogli capire che mi riferivo proprio a quella. La volta in cui io e Shane avevamo giaciuto insieme, ero stata proprio io a saltargli addosso, in seguito ad una furiosa lite. Ben presto le parole vennero meno ma i gesti, quelli si che avevano iniziato a prender piede e ci avevano condotti alla pura follia. Avrei forse dovuto provare imbarazzo, nel rivederlo le successive volte, ma non fu così. Aver fatto sesso era un valore aggiuntivo alla nostra conoscenza, ed era risultato anche inevitabile dato il tipo di rapporto che avevamo. Oltre all evidente attrazione che ci aveva visti protagonisti in passato e che, quindi, ci rendeva protagonisti ora. Il mio esser sensuale, a volte naturalmente altre volte volutamente, si fece sentire anche quando gli dissi, espressamente, che ero felice di rivederlo. Ed era sul serio così. Non c erano ragioni per non esser contenta perché a Shane volevo bene. Un gran bene. E sapevo che, sotto sotto, lui era dello stesso avviso. Non pensavo potesse ammetterlo ad alta voce, ma speravo che almeno riuscisse ad ammetterlo a se stesso. -Lo credo bene.. E.. mi sembra una buona cosa vedere che sei ancora tutta intera- conoscevo abbastanza bene Shane da sapere che quello era il massimo che potessi pretendere da lui. Non era molto propenso a frasi affettuose o d effetto, come invece potevano esser fatte mie. Insomma, mi piaceva flirtare e alludere, ma farlo nei confronti di Shane non aveva prezzo. Questo perché non sembrava scalfirlo niente, risultava persino indifferente, ma sapevo che non era così. Quando qualcosa lo eccitava, aveva un lieve tic e le pupille si dilatavano per un secondo. Lo avevo imparato a capire, con il tempo. E avevo riconosciuto lo stesso chiaro atteggiamento dal modo in cui mi aveva puntato e, inoltre, dalla forza con la quale si era scagliato contro il vampiro. Era il suo lavoro, quello del cacciatore, ma l ira funesta con la quale aveva agito, quella faceva parte del suo esser umano. –ed io che mi aspettavo “come sei in forma Evie!”- ironizzai un'altra volta, con un grosso sorriso che giaceva sulle mie labbra rosee e carnose ed un evidente espressione divertita sul volto. -…ma mi farò andar bene la tua constatazione- ammisi con un leggero colpo di spalle, avanzando di un passo verso di lui. Ora la luce del lampione mi permetteva di osservarlo con più chiarezza e di rendermi conto di quanto non fosse cambiato di una virgola. Il gran figo di sempre. -A te l’onore- era come se la questione “vampiro + morte” fosse passata in secondo piano per me, cosa davvero bizzarra dato il fatto che ci stavo rimettendo le penne fino a due minuti prima. Ma era come se quella scarica d adrenalina, sommata alla contentezza di rivedere Shane, mi avessero vagamente cambiata. Come se in quel momento capissi davvero ciò che era meglio fare. Guardai i piedi ciondolanti del morto e successivamente gli avambracci di Shane piegati e muscolosi, e mi convinsi che era arrivato il momento di sbarazzarci del corpo. Afferrai le braccia del vampiro e con un colpo di reni e uno sguardo d intesa, ecco che il corpo era alzato e gettato nel cassonetto dei rifiuti. Cercai con rapidità l accendino che portavo in tasca del giubbotto di pelle scura indossato, e una volta trovato accesi la fiamma cercando un pezzo di carta da iniziare a bruciare. –salutami Lucifero..- mormorai con aria soddisfatta, alzando lo sguardo per contemplare quello di Shane accanto a me. Abbozzai un sorrisetto, come a volerlo ringraziare con quel gesto e, dato fuoco al cartone, lo gettai nel cassonetto, dove il corpo del vampiro giaceva, inerme.
    I miei occhi continuavano a fissare quelle fiamme che si alzavano sempre di più, riscaldando parzialmente quella serata invernale davvero gelida. Ero consapevole del fatto che avrei potuto esserci io al posto del vampiro, e fu per quella ragione che un piccolo sorriso arruffò le mie labbra, mentre la mia mano cercò quella del ragazzo al mio fianco. Non un gesto romantico, ma sicuramente un gesto dolce a cui lui non era abituato. A cui io non ero abituata.




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    Shane Balcoin

    Definire quell’incontro scherzo del destino non era completamente sbagliato. In parte però c’è da dire che, quando avevo deciso di raggiungere la mia sorellastra, ed avevo anche sentito il nome in cui risiedeva, non avevo potuto evitare di pensare al fatto che Evangeline vivesse lì, attualmente. Così come non potevo fare a meno di pensare che quella città era così oscura da raggruppare senza neppure un filo logico ogni essere umano e soprannaturale che in qualche modo aveva in sé qualcosa da dire, da dimostrare, qualche problema da risolvere o da creare. Non mi stupiva che fosse così colma di vampiri. Ne che ci fossero vari cacciatori, anche se fino a quel momento sapevo solo della presenza della famiglia Austen. Reputavo, quindi, uno scherzo del destino il mio essere lì, il mio percorso che mi aveva –senza poter calcolarlo- portato proprio lì. Perlomeno non ero solo, qualcuno direbbe. C’era Celeste, che con cui dovevo ancora parlare; e poi c’era Evangeline che già conoscevo e alla quale avrei potuto rivolgermi se avessi avuto dei problemi. Però per me non era così, io non agivo in questo modo. Ero capace di rischiare la pelle, di mettermi in guai grossi, piuttosto che chiedere aiuto. Non era una forma di orgoglio la mia, era uno stile di vita molto semplice e al quale mi ero adattato da subito, fin da quando avevo deciso di cambiare le mie abitudini, di vendicarmi, fin da quando erano maturate in me una serie di emozioni difficili da spiegare o da surclassare. Il senso di vendetta che avevo, difatti, era la cosa che più scalpitava in me, era ciò che faceva di me un uomo deciso e chiuso; un cacciatore quasi del tutto imbattibile. Preferisco aggiungere quel quasi perché anche io avevo i miei punti deboli, bisognava solo scavare bene per trovarli. E in ogni caso ero abbastanza convinto di non lasciar trasparire nulla, quindi ciò non era altro che un vantaggio, mio.
    A differenza della cacciatrice che avevo dovuto aiutare e che, naturalmente, per essere abbattuta sul cemento duro e freddo doveva aver avuto qualche strano pensiero per la testa, qualcosa che l’aveva resa deconcentrata. Non sopravvalutavo la sua forza, ne la sua capacità di cacciare. Ma non la sottovalutavo nemmeno, ecco perché riuscivo facilmente a dedurre che farsi mettere a tappeto era stata una conseguenza di qualcosa. Che non sapevo e che, chiaramente, non avrei chiesto. Semmai avrei ironizzato e, a mio modo, criticato il suo atteggiamento, cercando di mantenermi sempre distante al punto giusto. Forse lei era una delle poche persone con le quali mi ero lasciato andare di più. Ma in rari momenti. E questo era stato possibile perché avevamo trascorso del tempo insieme, c’era stata la possibilità di farlo accadere, senza contare che aveva un modo di fare che alle volte non ti lasciava molta scelta, facendoti trovare in gabbia nel bene e nel male. ”–che dici, la tolgo questa?-” Per l’appunto.
    Si riferiva alla maglia, a quella che io avevo indicato dicendole che era sporca di sangue. Quello stesso sangue scivolato via dalla bocca del vampiro che era a pochi passi da noi, morto. I miei occhi scrutarono attentamente espressione e gesti: dalla mano che scendeva al bordo della stessa maglia, o quello stesso sorrisino malizioso, così in contrasto con l’espressione di paura che avevo scorto in precedenza; poi c’erano le espressioni del proprio corpo, quelle movenze che potevano saltare all’occhio di chiunque, anche di chi era poco attento. Nel mio caso, avendo avuto quel corpo tra le mie mani, sapevo anche che l’attrazione fisica tra di noi non bisognava minimizzarla. Ne ero consapevole. Era una di quelle scariche elettriche che senti in un modo quasi inconcepibile ma naturale. Però era questo. Non c’era altro, a parte una forma di affetto. -Se vuoi morire di freddo..- iniziai, con tono lasciavo, per poi rispondere, a mio modo, che anche io ero felice di rivederla. Lo ero davvero, infondo. Non che mi piacesse sbandierarlo ai quattro venti, proprio perché non erano cose alle quali amavo pensare, ma non potevo nemmeno negarlo, soprattutto se lei si esprimeva con termini chiari nei miei confronti dichiarando la stessa cosa alla quale io risposi solo modificando il modo e qualche parola, giusto per ricordarle con chi aveva a che fare. Non mi reputavo un vero stronzo. O forse si. Insomma, diciamo che non ero perfetto, ne l’ideale per una donna, così come nessun genitore avrebbe mai scelto me per la propria figlia. Inoltre, avevo sempre creduto di avere una parte nascosta ed oscura, qualcosa che di tanto in tanto prendeva il controllo di me e mi portava a compiere azioni di cui vergognarmi. Eppure, quando parlavo con mia madre, o in passato con mio padre, mi avevano sempre fatto capire che non mi reputavano affatto una cattiva persona, ne avevano mai creduto che lo sarei diventato. La mia sorellina ancor meno. Mi aveva portato sempre su un piedistallo. Questo complicava un po’ le cose. Perché cercavo di essere me stesso ma, al contempo, di non deludere le aspettative di chi mi conosceva bene e di chi teneva a me.
    Annuii, quindi, quando Evie parlò e decisi di passare direttamente all’azione, sbarazzandoci del corpo del bastardo ormai morto. Lo trascinammo vicino ad un cassonetto, poi utilizzando un po’ di energia in più lo gettai all’interno e lasciai alla ragazza il compito di incenerirlo. E lo fece. Non vidi quando si mise ad estrasse e ad accendere l’accendino. Il mio sguardo era infatti fisso su ciò che avevamo davanti. E quando mandò i suoi saluti a Lucifero, abbozzai istintivamente un sorrisetto, voltando di poco il capo verso di lei, giusto in tempo per percepire sia visivamente che a pelle il contatto della sua mano con la mia. La prese e la strinse. Ed io mi sentii lievemente a disagio. Ma, per una sola frazione di secondo, nel mio sguardo parve acconsentire a quel gesto, allo stesso modo della mia mano che rimase intrecciata alla sua. Le feci un cenno, non appena puntò i suoi occhi nei miei, come se volessi farle intendere che capivo. Non sapevo nemmeno io bene, cosa stesse a significare la mia reazione. Non che ci vedessi chissà quale malizia, sia chiaro. Parlo della mia reazione, come se cercassi di comprendere lei e di non distaccarmi, non subito, almeno. Darle una chance di vedere me. Almeno per qualche secondo. Perché quando, poi, entravano in gioco altre componenti, scattavo come una molla, all’indietro. E fu ciò che accadde, dopo averle restituito con intensità lo sguardo, ed aver sfiorato il dorso della sua mano con il polpastrello del pollice, debolmente e lentamente.
    -E’ il momento di allontanarci- dichiarai, indicando con il capo il cassonetto in fiamme e muovendomi io stesso, ora libero da quella presa, in direzione dell’uscita di quel vicolo. Di spalle, camminando, pensai a dove poter andare. Accompagnarla a casa? Troppo da gentiluomo, probabilmente. O forse dovevo semplicemente invitarla a bere qualcosa, in onore dei vecchi tempi. Nah. Pensai anche di invitarla nel mio monolocale, ma poteva sembrare –la mia- una proposta ben diversa. Anche se non credevo che in quelle condizioni potesse tornare a casa. A meno che, in borsa non avesse un cambio d’abiti pronto. O, fuori casa, non avesse un suo nascondiglio personale dove rimettersi a posto. Delle volte mi chiedevo come facesse.. Okay, il padre ne era al corrente, ma la sua nuova famiglia no, quindi? Quindi.. ero sempre più convinto d’aver fatto bene a lasciare mia madre fuori da questa storia e ringraziavo chiunque vegliasse su di me per avermi aiutato ad imparare a cavarmela da solo. D’un tratto, quindi, mi fermai, puntando i piedi sul cemento, e lo sguardo fisso davanti a me, sospirando per ciò che stavo per dire e maledicendomi già da solo. -Vuoi un passaggio da qualche parte? O.. hai bisogno di un posto dove rinfrescarti?- chiesi, con tono scocciato. -Qualsiasi cosa tu decida di fare, la mia macchina è a pochi metri dal locale..- Ovviamente, soltanto una volta ricevuta la risposta mi sarei deciso a smuovermi e cambiare posizione.


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    Evangeline Nicole Austen
    Se avessi dovuto definire con una parola Shane, avrei scelto imperturbabile. Sembrava che niente e nessuno potesse far breccia nella sua quotidianità, rubandone un pezzetto ogni giorno di più, e pareva che tutto e tutti fossero superflui per lui. Un eterno lupo solitario, questa era l immagine che Shane ambiva dare di sé. Io non ero dello stesso avviso, questo perché mi ero imposta così tanto da riscuotere ciò che volevo, che pretendevo. Avevamo lavorato per un periodo gomito a gomito e avevamo condiviso molto di più che sporadici casi di vampiri. Tra di noi non c era stata chissà quale storia d amore, e non vi era stato neppure amore, ma un oggettivo trasporto fisico consolidato da del sesso davvero eccezionale. Shane era tanto scorbutico quanto ci sapeva fare sotto le coperte, il che, credo, racchiuda davvero tutto ciò che mi è consentito dire. Io non ero un tipo di ragazza che si lasciava troppo andare, non credevo nell amore né tantomeno ero alla ricerca del principe azzurro, tipologia di maschi che a mio avviso non era mai esistita. Il mio disincanto si poteva notare anche dal fatto che non avessi avuto scrupoli a baciare il mio fratellastro per ben due volte. Non mi conservavo per l ipotetico amore della mia vita né mi illudevo di trovare l altra metà del cielo. In questo io e Shane eravamo molto simili, se non per il fatto che sapevo di poter contare notte e giorno su mio padre e sapevo di poter condividere qualsiasi aspetto della mia vita con lui. Shane non aveva nessun altro, o così avevo capito io. Raramente aveva parlato della sua famiglia e puntualmente si fermava ancora prima che potessi scoprire qualcosa di più sul suo conto. Non che volessi impicciarmi, ma la curiosità è donna ed io, a volte, mi ero trovata quasi con la caramella in bocca, per poi vederla scomparire proprio sotto il mio naso, non so se mi sono spiegata. Nonostante avessimo condiviso momenti intimi, Shane non era il tipico ragazzo che cedeva facilmente a due occhi da gatta o due gambe chilometriche, ed era per questo che risultavo ancora più soddisfatta di quello che ero riuscita ad ottenere, da lui. Non andavo a letto con tutti quelli che mi capitavano a tiro o che mi colpivano, ma fin da subito avevo capito che per lui avrei fatto uno strappo alla regola. E non solo per una fisicità imponente e che rispecchiava a pieno il mio gusto, ma anche per il suo esser estremamente introverso e introspettivo. Dunque non mi stupii affatto del suo “rifiuto” alla mia battuta ironica di togliermi la maglietta, a cui risposi con un sorriso languido e molto esplicativo, come se avessi predetto ogni singola parola uscita dalle sue labbra.
    Ma non era questo a farmi ghignare colma di soddisfazione, non quanto il precedente sguardo capace di soffermarsi nel dettaglio su ogni mia curva, bramarla e rimembrare gli attimi in cui aveva potuto fare di me ciò che voleva, riuscendoci. Il fatto è che Shane continuava a lottare contro i suoi istinti, reprimendoli, dicendo a se stesso che si poteva tutto cancellare con un colpo di spugna, ma la verità non era affatto questa. Ed ero dell idea, inoltre, che lo avrebbe capito ben presto.
    Comunque sia, dovemmo muoverci a far scomparire il corpo dentro un cassonetto che accidentalmente prese fuoco ed io mi ritrovai a cercare la sua mano, non so nemmeno io perché. Sicuramente nel mio gesto vi era un immensa gratitudine che non sapevo esprimere a parole, e felicità per averlo rivisto e per aver captato volesse risiedere a Mystic Falls per un po’, ma non c era solo quello. Mi ero sentita così sola senza la mia vita in Iowa, senza di lui o i miei amici, che finalmente riprendevo a respirare com ero abituata a fare. Shane era la mia ventata di freschezza di cui necessitavo e che stava lentamente scomparendo fino ad assuefarsi completamente. Avevo combinato così tanti casini e mi ero ficcata in cose enormi e più grandi di me da non capirci più niente. Necessitavo di un suo contatto per sentire che lui c era e che sarebbe sempre stato in grado di cacciarmi fuori dai guai.. lui era il mio eroe. Sapevo che fosse, tuttavia, sociopatico –passatemi il termine- e dunque non mi sarei attesa che ricambiasse quel gesto o che tenesse la mia mano ferma nella sua a lungo, ma qualcosa mi turbò. Le sue dita si intrecciarono alle mie, assecondando i miei gesti dopo i primi attimi di interdizione, e strinsero di poco la presa come se volesse rispondermi a quella domanda mentale che mi ero fatta poc’anzi: egli c era, era lì, e anche se non era arrivato per me, io avrei potuto contare su di lui. Mi bastava questo per sentirmi sollevata e anche un tantino soddisfatta per esser riuscita a far capitolare la freddezza di Shane, almeno un minimo. I miei occhi si spostarono dal cassonetto incendiato a quel viso ad un altezza ben maggiore della mia, e mi persi per qualche istante nelle sue iridi calde e nocciolate, le sui sfumature prendevano tonalità dell arancio a causa delle fiammate che si propagavano davanti a noi. Lo sguardo che ci scambiammo fu talmente carico ed intenso che non servì parlare, non fino a quando Shane reputò giusto tagliare corto. E non aveva nemmeno tutti i torti: non era salutare rimanere lì. Ci allontanammo, con passo svelto ma non troppo furtivo, dal vicolo cieco, arrivando a solcare la pavimentazione della strada principale, proprio alla destra del vicolo. Mi guardai per una frazione di secondo in giro, e constatai che nonostante fosse notte tarda, Mystic Falls non era del tutto spoglia. -Vuoi un passaggio da qualche parte? O.. hai bisogno di un posto dove rinfrescarti?--Qualsiasi cosa tu decida di fare, la mia macchina è a pochi metri dal locale..- Bingo! Pensai tra me e me, mentre un sorriso per nulla angelico solcò le mie labbra, facendo intravedere l arcata superiore, fatta di denti bianchi e perfettamente allineati, mentre i miei occhi donavano a quel sorriso un aria ancora più smaliziata, anche grazie al capo leggermente chino verso il basso. La mia intenzione non era quello di ammaliare Shane, ma adoravo perdere il controllo con chi potevo farlo. E con lui, credetemi, potevo spingermi davvero tanto oltre. –andiamo a casa tua…- poche parole, pronunziate con un filo di voce roca e seducente, gli fecero capire che avevo afferrato perfettamente quale fosse il “posto in cui rinfrescarti”. Mi avviai, dunque, lungo il marciapiede, voltandomi qualche istante dopo mentre lo guardavo ancora impalato, forse già pentito di avermi offerto tanto -devo alzarmi la maglia per farti riprendere per caso?!- domandai con somma ironia, lanciandogli le chiavi che gli avevo sottratto, senza che se ne accorgesse, quando lo avevo superato. Era così impegnato nei suoi pensieri auto-lesionisti da non rendersi conto che due sottilissime dita gli avevano sfilato dal retro dei pantaloni le chiavi della macchina. Prima però di lanciargliele, feci scattare la serratura elettronica, capendo perfettamente quale fosse la sua auto. Compiaciuta, mi voltai, indirizzandomi proprio verso questa, pronta a prendere posto dal lato del passeggero.


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    role scheme © danny,, esclusivo per lo shadowsouls


     
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    Shane Balcoin

    I contatti fisici o semplicemente visivi per molte persone rappresentavano tutto. C’era chi riusciva a capire qualcosa con un tocco o un’occhiata fugace, e chi ne faceva una specie di legge di vita, per cui decidere se fidarsi o meno di qualcuno, se in base alle farfalle nello stomaco portare avanti una storia o meno. Insomma, di tutto e di più. Io preferivo evitare. Mi piaceva osservare, amavo cogliere ogni istante in una situazione e catturarne il senso, perché credevo fosse necessario per capire tante cose. Così come delle volte i contatti fisici erano obbligati. Ma non li cercavo, non quelli che dovevano avere un significato in qualche modo profondo. Non perché amassi pavoneggiarmi. No. Quanti uomini conoscevo che cercavano di non legarsi ad altre donne così da avere sempre campo libero e poter avere tutte quelle che volevano invece di accontentarsi di una sola? Molti. E da adolescente anche io avevo avuto questa visione della mia vita sentimentale. Avevo sempre pensato, difatti, che mai avrei perso la testa per nessuna. Ed portavo tutt’ora avanti la mia ideologia senza alcun problema. Con la sola differenza che non si trattava di difendermi dall’amore o cazzate varie. Io non potevo semplicemente permettermelo. Perché sarebbe stato un punto debole in più. Qualcos’altro con cui fare i conti. Ed io non ne avevo la forza necessaria, ne il tempo. Ero concentrato esclusivamente sul vendicare mia sorella, sul mio lavoro che era diventata una passione, un hobby, a cui pensavo più di quanto pensassi di guarire la gente umana negli ospedali, con il mio vero lavoro di infermiere. E, in quel mondo, nel fare tutto ciò, non potevo pensare di proteggere altri punti deboli. Ne avevo uno, che era la mia famiglia, e bastava. Fin troppo.
    Il contatto con Evie, quel semplice stringersi le mani per pochi secondi e guardarsi con estrema intensità, fece capitolare per frazioni limitate le mie riflessioni in una zona remota del cervello. Non per questo, naturalmente, ero pronto ad aprirmi a lei o a qualche altra donna sulla faccia della terra. Però mi capitava, di tanto in tanto, di vivere delle situazioni che mi facevano capire di essere umano e di avere un cuore nel petto che palpitava soavemente ma che avrebbe potuto prendere a battere all’impazzata in qualsiasi momento, cosa che non dovevo non prendere in considerazione. Alla lunga. Sapevo quanto forte fosse la corazza che mi ero costruito, e molti miei amici della città in cui vivevo non capivano quel cambiamento, ovviamente, reputando il tutto una chiusura per la morte di mia sorella, e non riuscendo per l’appunto ad abbattere quel muro di strafottenza e rigidità che mi ero imposto, che era ormai diventato la mia pelle. Ma era proprio questo il punto. Non potevo spiegare loro come stavano davvero le cose, perchè mi avrebbero preso per matto. E non volevo spiegare il senso del mio lavoro e il mio stato d’animo a persone come Evie, che erano a conoscenza quantomeno delle creature contro cui combattevo, perché non volevo essere compatito, e perché era una questione tanto personale da esserne quasi geloso. Sapevo che la mia vendetta era ormai diventata un ossessione. Sapevo anche che dovevo fare i conti con la realtà, possibile, che mai avrei trovato il colpevole. Ma sapevo soprattutto che continuando quell’attività mi sentivo giorno dopo giorno più pronto. Senza contare quanto, il tutto, fosse piacevole, in momenti in cui sfogarsi diventava una necessità primaria.
    ”–andiamo a casa tua…-” E con Evangeline era complicato. Perché era una specie di amica, per me, pur avendo condiviso anche altro, e quindi un legame emotivo, non estremamente forte e non paragonabile all’amore, era inevitabile. Sapevo ci fosse. Il che rendeva abbastanza difficile fingere che non esistesse o fare l’indifferente, senza propormi di aiutarla o farle capire che ormai ero lì ed ero in grado di fare qualsiasi cosa volesse, se ne avesse avuto il bisogno. Fu questo, più che altro, a farmi mandare al diavolo ogni cenno di riflessione sul significato dei contatti, sul mio essere così dannatamente cocciuto e chiuso, e a chiederle se voleva un passaggio o magari rinfrescarsi. Che la mia casa fosse in realtà un monolocale piuttosto angusto e poco accogliente, era una cosa che avrebbe appreso da sola, una volta arrivati. Che, inoltre, avessi fatto bene o meno a propormi, era una cosa che non sapevo. Già il suo tono mi faceva ben capire che sarebbe stata dura. ”-devo alzarmi la maglia per farti riprendere per caso?!-” Sul serio? Era fissata! Ossessionata da quella fottuta maglia! Cacciai via l’aria dalla bocca con fare scocciato, ed afferrai al volo le chiavi che mi lanciò e che, in precedenza, mi aveva sottratto senza che me ne accorgessi. Dopo di che mi mossi, rimanendo alle sue spalle, fino a quando non raggiungemmo la mia auto e dovetti fare il giro di questa per andare a mettermi al posto di guida. Amavo la mia auto. Era una delle poche cose a cui badavo seriamente. Nel senso che, per quanto quel lavoro portasse delle volte qualche problemino di pulizia cercavo sempre di non contribuire a rendere quel gioiello un porcile. E infatti era lucida, senza neanche un graffio. A differenza mia che, a confronto, sembravo un rottame da cui cadevano pezzi secondo dopo secondo. -Ho delle regole- l’avvertii, mentre mi mettevo seduto. Infilai la chiave nel cruscotto e prima di girare questa all’interno, mi voltai verso Evie per capire se mi stava ascoltando e prendendo in considerazione. Il perchè di queste? Perchè, vista l'ultima volta, ne avevamo bisogno. -Tu ed io.. questo salvarsi il culo a vicenda.. non prenderla come una specie di abitudine- Questa era la prima regola: io non ero a sua disposizione, lavoravo da solo e badavo a me stesso da solo, non c’era altro che volessi tra i piedi. -Niente domande personali, io non le farò a te e viceversa- continuai, e a quel punto misi davvero in moto, portando la schiena contro lo schienale e lo sguardo fisso davanti a me, attento alla guida e a raggiungere casa mia sani e salvi. -E.. quella dannata maglia, la terrai giù, in mia presenza- Perchè eravamo amici e soprattutto perchè poteva capitare di dover combattere di nuovo insieme. Non volevo distrazioni. Non credevo le volesse neppure lei. Detto ciò, con la sicurezza che se avessi avuto altro da dire l’avrei tranquillamente fatto, guidai fino al mio monolocale, in totale silenzio. Parcheggiai l’auto al mio solito posto, e le indicai il cancelletto da cui entrare per potersi trovare davanti alla mia porta. Scesi, convinto che quindi mi avrebbe seguito, e camminai fino ad arrivare davanti a questa, aprirla, ed entrare. Non mi serviva dare un’occhiata intorno per sapere che il mio letto era ancora sfatto, che avevo lasciato il televisore acceso, e che avevo bisogno di un bicchierino. Mi voltai quando udii la porta chiudersi e così le lanciai un’occhiata di sbieco, per poi abbassarmi e prendere una bottiglia di scotch per versarmene un po’ in un bicchiere. -Il bagno è da quella parte- dissi, indicando la strada giusta con l’indice della mano destra. Anche se non era così difficile capirlo. L’angolo cucina, il letto e il televisore erano nello stesso posto in pratica. Non avevo voluto dividere le zone, ed avevo semplicemente angolato la cucina, il letto contro una parete, la televisione su un mobiletto che trascinavo ovunque volessi, un tavolo giusto per mangiare, e l’unica porta all’interno era quella che portava nel bagno. Tornai in posizione eretta, portai lo scotch che mi ero versato alle labbra, e sorseggiai questo con gusto, fissandola, poggiando il sedere contro un mobiletto, pronto a ricevere qualsiasi frase sarcastica avesse sulla punta della lingua.


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    Evangeline Nicole Austen
    Mi piazziai comodamente nella sua automobile, tirata a lucido e perfettamente ordinata all interno, tanto che pensai di aver sbagliato vettura. Non è proprio il genere di macchina che immagini sia destinata ad un cacciatore, la cui vita è trascorsa per il 90% del tempo proprio lì, con armi, hamburger andati a male e patatine pronte ad ungere l impossibile. La sua splendeva. E ciò mi sorprese in modo particolare, perché Shane era la classica persona che riuscivi ad inquadrare con estrema fatica. Ad occhio e croce gli avresti dato del disordinato cronico, pronto a buttare i calzini persino sul tavolo della cucina. Ma non era affatto così. Mi guardai, sorpresa, intorno, alla ricerca di qualche dettaglio fuori posto che mi avrebbe fatto rivedere la posizione di Mr. Perfettino che gli avevo mentalmente attribuito. Niente di tutto ciò. –a chi l hai rubata? Ad un noto imprenditore per caso?- chiesi con evidente ironia, guardando con aria trasognante gli interni di pelle e odorando con piacere quella fragranza di menta che si diffondeva, soave, in tutto l abitacolo. Mi allacciai, per prima cosa la cintura, e mi guardai i piedi calzanti degli improponibili tacchi dodici, attenta a non sgualcire neppure i tappetini scuri. In caso contrario, ero sicura che sarebbe iniziata una lotta all ultimo sangue, a giudicare dal modo in cui teneva a quel genere di cose. Una volta infilata la cintura, fui pronta a partire, ma lui, prima di mettere in modo, volle mettere in chiaro alcune “regole”. Alchè stortai il naso, perché io, Evangeline Austen, non andavo per nulla d accordo con le regole. Più mi si diceva di non fare una cosa, e più sentivo l irrefrenabile impulso di agire come mi era stato vietato. Carattere. E stronzaggine. Mi ritrovai a guardarlo con la classica faccia basita di chi non ne può già più di sentire altro, anche se, analizzando i fatti, egli non aveva ancora iniziato ad elencare i suoi punti focali. . -Tu ed io.. questo salvarsi il culo a vicenda.. non prenderla come una specie di abitudine- non capivo quale fosse il suo problema, se gli risultavo così tanto ostile da non sopportare neppure la mia presenza o la mia collaborazione, dato che la fase “non lavoriamo insieme” l avevamo già ampiamente superata in Iowa. Ma a quanto pareva quella era stata unicamente una breve pace, legata unicamente a sporadici episodi, era l unica ragione palpabile che non l avrebbe reso troppo matto ai miei occhi. –non ti preoccupare, salta pure la parte del “sono misterioso e indipendente, non mi piace che le donne mi chiedano troppe cose ma preferisco scoparmele in silenzio”, so già tutto- lo stoppai con quel modo frettoloso di mettere i puntini sulle i ed anche un po’ di acidume che non guastava e che lasciava trapelare forse troppo quello che era il mio pensiero su di lui. Non mi aspettavo bigliettini e fiori dopo la nostra prima volta, ma nemmeno che evaporasse nell aria come se nulla fosse successo. Come se io non avessi contato altro che una notte di follia. Ma non era un problema. Lui non era il mio fidanzato, non eravamo innamorati, e sarei sopravvissuta senza rimorsi e rimpianti. -Niente domande personali, io non le farò a te e viceversa- su questo punto non avevo nulla da ridire, perché se avessimo aperto quello che era il mio libro personale, sarebbe uscito che io e il mio fratellastro ce la intendevamo più di quanto eticamente consentito. Quindi era tutto a mio vantaggio se non si facevano domande strettamente personali, anche perché non vi era ragione per farlo. Si poteva parlare di lavoro, di viaggi, di paesaggi, o non parlare.. ma non era necessario parlare di “noi”. Dunque annuii, alzando la mano con fare fintamente rigoroso e dissi –promesso, croce sul cuore- in modo del tutto sarcastico, appoggiando l indice della mano destra sul petto, in modo da simulare proprio una croce, com era buona prassi dei boyscout, quando dovevano legarsi ai propri compagni d avventura con una promessa che sarebbe morta con lui. O almeno teoricamente così avrebbe dovuto essere. Pensai, sbagliando, che la lista di regole da seguire severamente fosse finita, e ciò lo pensai ancora di più quando mise in moto ed iniziò a guidare tra le vie di Mystic Falls, rischiarate dalla scarsa illuminazione e da quella luna che, nel giro di massimo due giorni, sarebbe diventata piena. Ciò significava che la caccia sarebbe stata molto più intensa e che dovevamo guardarci le spalle non solo dai vampiri, ma anche da licantropi impazziti, vogliosi unicamente di uccidere. I miei pensieri vennero messi, tuttavia, a tacere quando la voce bassa e roca di Shane arrivò al mio orecchio -E.. quella dannata maglia, la terrai giù, in mia presenza- non potei non sorridere, in modo ampio e del tutto intrigante, voltando il viso non più in direzione del finestrino ma verso di lui, in modo da osservare quel profilo così mascolino e vagamente triste, sempre velato da una malinconia che non sapevo da dove provenisse. –non mi sembravi così dispiaciuto, in passato, che alzassi la maglia per farti vedere ciò che si celava al di sotto…- senza pudore né peli sulla lingua, dissi la mia con assoluta convinzione, sapendo che era la verità. Non avrebbe potuto dire nulla contro, dato il modo in cui si erano svolti i fatti quando, presi da un raptus, ci eravamo spogliati e ci eravamo fusi senza misura l uno nell altra. Ma a quanto pareva ero solo io a ricordare questo genere di eventi, lui preferiva insabbiarli e fingere che non fossero mai accaduti. Il silenzio cadde in quella macchina, l unico rumore che si ascoltava era quello d impatto tra le ruote e l asfalto, fino a quando, poco dopo, raggiungemmo il vialetto di casa sua. Era un piccolissimo villino, di quelli a schiera, decisamente diverso dalla mega casa in cui mi ero trasferita io, appartenente alla moglie di mio padre. Nonostante fui la prima a scendere, rimasi con i piedi ben piantati nell asfalto, attendendo che egli, una volta parcheggiato, mi superasse e mi facesse strada proprio verso il suo ingresso. Per quanto fossi esageratamente spontanea, sapevo quali erano le buone maniere ed ero fermamente convinta che in alcuni casi, come questo, bisognava darne sfoggio. Salii i gradini dietro di lui, e aspettai che aprisse la porta di casa, accendendo la luce e sistemando sui vari ripiani piccole cose come le chiavi di casa o della macchina. Io entrai molto lentamente, puntando gli occhi su quel buco così spoglio ed anonimo ma che, stranamente, mi faceva sentire protetta. Anche in questa circostanza, non una parola volò tra di noi, l unico rumore che si udì fu quello della porta d entrata che si chiudeva sempre di più, dietro di me. -Il bagno è da quella parte- giusto, il bagno. Cercai la sua immagine e lo trovai chino verso la credenza sotto il televisore acceso che trasmetteva una di quelle soap argentine che un tempo mia madre adorava guardare. Istintivamente storsi la bocca, avanzando al centro della stanza che racchiudeva in sé: cucina, salotto e camera da letto. Solo un uomo poteva vivere in quelle condizioni, dato che l armadio era misero e non avrebbe mai contenuto tutti i vestiti e le scarpe che una donna possedeva. –davvero… funzionale..- commentai con un sorriso vagamente imbarazzato, dato che non sapevo in che altri termini dipingere una casa che non avrei mai acquistato nemmeno sotto tortura. –versane uno anche per me, se non ti dispiace..- mormorai con calma, puntando gli occhi sul bicchiere di scotch che stava sorseggiando con assoluta tranquillità, mentre il suo sguardo era fisso e vigile su di me, quasi volesse studiare i miei movimenti e i miei gesti. -..farò in fretta..- affermai in modo tale da congedarmi da lui, dai suoi occhi capaci di bloccarmi il respiro in gola, e da quelle 3-stanze-in-1.
    Mi diressi, dunque, verso il bagno, appoggiando i palmi al lavandino per poi, sporgermi in avanti. E, anche in quella circostanza, mi sentivo maledettamente osservata. Voltai il viso in direzione di Shane, che riuscivo a scorgere dato che non avevo chiuso la porta del bagno, e riversai il mio sguardo nel suo con una certa intensità ed una tacita… attesa. Non so bene cosa aspettassi, forse che dicesse o facesse qualcosa per farmi capitolare. O forse il momento giusto per poter parlare. Mi tolsi la giacca di pelle che indossavo, lasciandola scivolare oltre le mie gambe, arrivando ad accarezzare il tessuto morbido del tappeto, e poi mi tolsi gli orecchini, così da potermi buttare in doccia senza rendere neri gli accessori. Fu allora che i miei occhi lo puntarono ancora e, assicuratami che egli mi stesse ammirando, lasciai che le dita scorressero sul bordo della maglia e che la sfilassero, sorridendo come a volerlo sfidare apertamente. Come già detto, quando mi si diceva una cosa, facevo l esatto contrario. Solo in quel momento mi avvicinai alla porta del bagno che colpii e lasciai chiudere dopo un rumore secco, aprendo il getto dell acqua e buttandoci sotto.
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    le goccioline scorrevano sulla mia pelle, bagnandomela e facendo, successivamente, scolare l acqua rossastra giù per lo scarico. Appoggiai la fronte sulle fredde piastrelle, socchiudendo gli occhi mentre lasciavo che il getto sopra di me facesse il suo corso, depurandomi dalla punta dei capelli a quella dei piedi, facendo agire, successivamente, un bagnoschiuma che trovai lì a portata di mano.
    Una volta finita la doccia lampo, afferrai un grosso asciugamano che mi passai sul corpo, prima di avvolgerlo lungo il mio busto, coprendo in tal modo da metà seno fino a metà coscia. Non ero poi improponibile no?
    Silenziosamente lasciai che la mia mano andasse sulla maniglia della porta, aprendola di poco per far uscire il primo getto di vapore e poi la mia figura, sinuosa e femminile, che si mostrò allo stesso Shane che non si era spostato poi tanto dalla sua postazione. Un sorriso, un solo, languido e per nulla imbarazzato solcò le mie labbra mentre, passo dopo passo, mi avvicinavo a lui.
    -hai qualcosa da prestarmi? a causa della mancanza di una tenda, i miei vestiti si sono inzuppati d acqua- mormorai con assoluta franchezza, conitnuando ad addentrarmi dentro quel buco di casa, attraversando quindi oltre il corridoio anche la stessa stanza, raggiungendolo con non poca fatica. Quella era una situazione assolutamente bizzarra, lo sapevo bene, ma non riuscivo a provare vergogna.. ero, piuttosto, determinata a capire certe cose... tempo al tempo, ragazzi, non abbiate fretta.



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    Edited by {Sweetheart' - 6/1/2013, 08:42
     
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    Shane Balcoin

    La macchina era mia. Un suv, per essere precisi. Me l’aveva regalata mia madre, così simile a quella di mio padre che spesso alcuni conoscenti mi scambiavano per lui, senza sapere che era morto. Più corretto dire ucciso, come mi era stato spiegato. Al riguardo non avevo ancora un’idea precisa, ne una posizione netta da cui schierarmi. Perché era mio padre, e anche se ci aveva “abbandonati” per qualcos’altro, non gli avrei augurato mai la morte, mai nulla di male. Io ero sangue del suo sangue. Lui, il suo cognome, il suo potere, era in me in un modo che riuscivo quasi a sentire materialmente, fisicamente. Ma non era l’uomo che avevo conosciuto, a conti fatti. Non era la persona che poi mi era stata spiegata. Perché se era stato ucciso, per proteggere mia sorella, allora non era un uomo che riusciva a capire la differenza tra le cose giuste e quelle sbagliate. Era stato, in vita, un uomo ipocrita che aveva cercato di mettermi su una strada che, a conti fatti, lui evitava volontariamente. Ad ogni modo, quel suv era un ricordo di mia madre, rappresentava un po’ lei, corazza dura ed elegante, ed io la custodivo gelosamente. Lei credeva che girassi il mondo, con i fondi che mi aveva lasciato mio padre o con i lavori che facevo, che le dicevo di fare. In realtà.. quei fondi non li avevo mai toccati, perché convinto che prima o poi mi sarebbero serviti per davvero. Quindi.. beh, mi arrangiavo. E la paga da infermiere non era male, anzi. Soprattutto perchè, l’avrebbe visto anche lei, mantenere quel buco di casa che mi ero trovato non era difficile. Era più costosa l’auto!
    Volli mettere delle regole per due motivi molto semplici: la conoscevo, almeno un minimo, ma abbastanza da sapere che poteva rivoluzionare un rapporto nel giro di pochi secondi, così come faceva con qualsiasi situazione, quindi con lei rischiare voleva dire mettersi in trappola già in partenza; inoltre, visto il nostro hobby, lavoro, chiamatelo come vi pare, serviva un certo distacco.
    Un distacco che in passato non avevo tenuto, scatenando una dinamica ben precisa, perché era stata.. una cosa non programmata e sicuramente esplosiva. Era questo che accadeva, in realtà, quando stavamo insieme. Nel bene o nel male, ci rapportavamo all’altro senza misure. E non vi dico solo per il sesso o l’attrazione tangibile che si percepiva nell’aria quando eravamo nello stesso luogo. Anche a parole, a discorsi, con piccole frecciatine, finivamo sempre –vuoi o non vuoi- per superare il limite. Conoscendomi, sapendo che se lasciavo uno spiraglio per essere me stesso –sia stronzo che altro, quindi- lei sarebbe entrata sbattendosene delle mie riflessioni, dovevo essere io il primo a mantenere un certo distacco e a farle capire qual’era la cosa giusta da fare. Il fatto è.. che non era poi così semplice. Vi spiego subito: tra di noi c’era una forma di affetto molto semplice, che non complicava più di tanto le cose, ne che ci limitava nei confronti delle altre persone, insomma.. era un rapporto che non ammetteva, appunto, complicazioni di nessun tipo. Sostanzialmente, però, il fatto che spesso i nostri caratteracci ci portavano a scontrarci, non faceva che accrescere quella fiamma attrattiva incontrollabile. Perché era proprio questo il problema.. c’era un qualcosa di così forte, niente a che vedere con sentimenti profondi, che arrivava a destabilizzare, a farmi anche incazzare per la verità, quindi preferivo mettere dei paletti, che intendevo far rispettare. O almeno, tentare, semmai senza riuscirci, perché mettere in gabbia Evie era come acciuffare un leone in una savana e ingabbiarlo senza mezzucci. Praticamente impossibile. E, difatti, ad ogni sua risposta più o meno convinta sulle mie indicazione comportamentali, preferivo non rispondere, ma lanciarle soltanto delle occhiate esplicite. Se avessimo iniziato una specie di botta e risposta, avremmo finito con il picchiarci a sangue, credetemi.
    Arrivati a casa, non mi preoccupai che potesse vedere in che posto vivevo perché, onestamente, a me non dispiaceva. Vivevo solo, ci trascorrevo pochissimo tempo, era fuorimano e –soprattutto- visto il cognome importante che avevo era anche difficile da trovare. Inoltre era.. essenziale. Avevo vissuto per tutta la vita in una casa immensa, ed avevo dovuto fare i conti –una volta lasciata quella dimora- con nuove abitudini ed un nuovo stile di vita. Che all’inizio fosse stato difficile, non lo mettevo in dubbio. Delle volte, difatti, mi chiedevo come diavolo fossi riuscito in questo, a cambiare così tanto. Ma era successo. E ne andavo perfino fiero.
    Le indicai, mentre mi prendevo da bere, il bagno, in modo tale che potesse raggiungerlo, e lei mi chiese di versarle da bere. Io annuii, anche se le avrei fatto trovare il bicchiere colmo di scotch soltanto una volta pronta. Mi fermai, quindi, contro un mobiletto, poggiandomi appunto ad esso, mentre sorseggiavo con estrema calma quella bevanda alcolica, che amavo in modo particolare sostanzialmente perché era quella che bevevo maggiormente, durante la caccia.
    Caccia che sembrava continuare, se qualcuno si fosse fermato ad analizzare il mio sguardo. Quello di chi ha già visto nuda una persona e la fissa come se le iridi possano in qualche modo trapassare il tessuto dei vestiti e arrivare in profondità, sotto la pelle. Non era una cosa intenzionale. Se lo fosse stata, avrei dovuto darmi del “pazzo” viste le regole stabilite prima. Eppure, il fatto stesso di sostare in un luogo chiuso, casa mia, in sostanza quindi avere uno spazio ristretto e una sola via di fuga ben chiusa, cancellava un po’ quelle considerazioni così dannatamente ponderate.
    Andò verso il lavandino, lasciando la porta aperta inizialmente, e dopo una frazione di secondo si voltò a fissarmi. Avrei potuto deviare lo sguardo ma non lo feci. Naturalmente, mettendola su una base esclusivamente fisica, non potevo negare il trasporto, ne che fosse così attraente. Tralasciando l’ira che mi prendeva non appena apriva bocca, quando decideva di starsene zitta non era possibile toglierle gli occhi di dosso. Ed io ero un uomo. Fottutamente complicato, talmente incasinato che avrebbe fatto meglio a filarsela in quell’istante esatto. Ma un uomo. Che, vedendola mentre si sfilava la maglia, rendendo nudi i suoi seni, non poteva non desiderarla. Fu un breve lampo di riflessione, in cui non pensai a come impedire che continuasse o chissà cosa, ma in cui immaginai le mie mani sfiorare quella parte del suo corpo e poi stuzzicarla con la punta della lingua. Ma fu un lampo, breve, sancito da una mano che chiudeva la porta, e che mi faceva tornare in me. Ringraziando Dio, uno qualsiasi. Sentii, poi, il rumore dell’acqua e andai verso il televisore per tenermi impegnato, afferrando quindi il telecomando e cercando un programma che potesse piacermi almeno un minimo. Nel frattempo, tornai al posto occupato prima dal mio fondoschiena, e mi versai nuovamente da bere. Mentre giravo i canali, forse senza accorgermene feci perfino passare dei minuti in quell’attività, e bevendo l’ultima goccia di scotch sul fondo del mio bicchiere, vidi Evie spalancare nuovamente la porta, venirmi incontro con un solo asciugamano addosso, e un’espressione che era un mix di malizia e di disappunto. Per cosa, poi, lo scoprii presto. ”-hai qualcosa da prestarmi? a causa della mancanza di una tenda, i miei vestiti si sono inzuppati d acqua-” Aveva anche da ridire. Ecco, cosa dicevo sul suo “parlare”. L’effetto, quando se ne stava zitta, era proprio un altro. Sospirai, prendendomela con comodo, anche perché quella fisicamente esposta era lei, non certo io, pur credendo che non le dispiaceva più di tanto, neppure a me. Presi un altro bicchiere, lo riempii, e lentamente le andai incontro, porgendole quella bevanda, pronta ad essere accolta dalla sua bocca, che le avevo promesso tacitamente prima. -Dovrai accontentarti di una mia tuta- dichiarai, anche perché visto il periodo invernale non potevo consegnarle un paio di pantaloncini o una canottiera. E soprattutto, non avevo abiti femminili. Di solito, chi di sesso opposto al mio aveva il piacere di entrare, non lasciava nulla. La superai, evitando stavolta di puntare oltre lo sguardo, ed afferrai una felpa ed un paio di pantaloni dall’armadio, tornando indietro. Le porsi il tutto, non appena le fui vicino, così tanto da non poter evitare più che I miei occhi scendessero su quelle piccole gocce d’acqua che le solcavano il collo velocemente, ne sull’inizio di quella linea che divideva i suoi seni. E, per qualche ragione che conoscevo ma a cui non potei pensare in quel momento, quando lei fece per afferrare la tuta io non lasciai la presa. -Hai infranto una regola- La più importante, direi. Dissi ciò con il mio solito tono rauco, che grazie allo sguardo intenso faceva un mix pericoloso per entrambi. -Quante altre ne infrangerai? […] Quante ME ne farai infrangere?- chiesi, lasciando una piccola pausa da una domanda all’altra, dovuta ad un sospiro frustrato che era uscito incontrollato dalla mia bocca finendo proprio sulla sua. Io non ero SANO. Avevo bisogno di regole per andare avanti. E non ero una compagnia buona per lei, se ci allontanavamo dall’ambito lavorativo. Per quanto, quindi, fossi consapevole che tra di noi poteva esserci una relazione esclusivamente di natura sessuale, era anche vero che un minimo ci tenevo. Quindi neppure quello andava bene, tra di noi. Non doveva esserci proprio nulla. Ma.. se il cervello, il mio, funzionava in questo modo, non credevo che il suo avesse quella stessa funzionalità, ne che capisse seriamente il perché mi tenessi così a debita distanza. Pur bramando, con ogni fibra del mio corpo fottutamente condizionato dal suo, tutt’altro, naturalmente.


    Scheda, QUOTE BY Beauty and The Beast CW, © danny


     
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    Evangeline Nicole Austen
    Io e Shane avevamo un rapporto malsano: conflittuale, da una parte, simbiotico dall altra. Avevo avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con lui e avevo visto quanto fosse abile e bravo in ciò che faceva, come se la sua fosse una vocazione o lo facesse per una causa da sposare, a me sconosciuta. Talvolta ci trovavamo sulla stessa lunghezza d onda, agivamo all unisono, quasi fossimo telepatici. Erano tante le volte in cui io avevo salvato il culo a lui e viceversa, sotto il disappunto di mio padre che ci vedeva troppo istintivi. Lui era più meticoloso, più razionale, mentre io e Shane partivamo, senza considerare il pericolo… eravamo immaturi. E ci piaceva il pericolo a tal punto da sentire una scarica d adrenalina ogni qualvolta ci trovavamo in una situazione compromettente, desiderando, per qualche istante, di risentire nuovamente quella scossa. Su questo eravamo fottutamente uguali, ed era per quella ragione che vi era stata, in un occasione, quell epilogo passionale. Ma eravamo tanto affiatati su alcune cose, quanto combattivi su altre. I nostri caratteri ci spingevano a farci vicendevolmente la guerra, a volte dicendo l esatto contrario dell altro solo per principio. E perché ci piaceva particolarmente stuzzicarci. O almeno parlo per me. Mi divertivo un sacco a dargli contro, a farlo sbottare, perché usciva quel lato animale del suo carattere che mi faceva letteralmente impazzire. Quand era fuori controllo, lì era veramente lui.. ma era come se avesse timore a tirar fuori la sua vera personalità, forse perché non si piaceva, forse perché temeva di esagerare.. ma io non ero dello stesso avviso. Io lo prediligevo così. Forse perché sapevo in prima persona che peso si portava sulle spalle quando bisognava fingersi una persona totalmente diversa da quella che si era. Io, ad esempio, agli occhi del mondo ero una normale teenager, piacente e spigliata, che adorava la matematica, lacunosa in storia e dovevo mantenere quell’apparenza, nonostante mi dilettassi a colpi di armi la sera, praticando molto frequentemente lotte libere. Ed ero libera di manifestarmi per ciò che ero solo in presenza di pochissime persone che si potevano raggruppare in solo due: mio padre, Richard, e lui, Shane. Ecco, sebbene sapessi che quest ultimo volesse tenermi a debita distanza, volevo fargli sapere che io avrei voluto esser, per lui, quella persona con la quale non doveva nascondersi, non doveva fingersi diverso per paura di esser giudicato. Ma forse era questo il punto: voleva tenermi lontana per paura che lo comprendessi fin troppo, per paura di legarsi ad una persona diversa da se stesso.
    Senza nemmeno accorgermene, arrivammo davanti a casa sua, ed entrai nella stessa con un pizzico di curiosità, certa che lo stesso ordine riversato nella cura della sua auto l avessi trovato anche lì. Non era propriamente così, dato che il letto era sfatto, la televisione accesa e qualche residuo di cereali era presente sul tavolo della cucina. Il che mi fece dedurre che l attenzione per il suo suv fosse attribuibile ad un legame di tipo affettivo per quell oggetto. Ma non gliel avrei domandato perché quel genere di regola non ero ancora pronta a violarla.. non ero pronta a sentirmi io stessa al centro di tale tipo di attenzioni, figurarsi se potessi porre nell occhio del ciclone un'altra persona. Mi ritrovai a tacere e ad annuire al suo “invito” nel recarmi in bagno, per fare una doccia. Non prima, però, di chiedergli con gentilezza di versare anche a me una buona quantità di scotch a cui lui annuii e che, quindi, presi come un assenso da parte sua. Mi allontanai da lui, andando nella stanza da bagno, appoggiandomi al lavello e pronta per spogliarmi… se non che il suo sguardo lo sentivo perfettamente addosso a me. Era come se avesse la forza di canalizzare ogni mia attenzione su di lui, come se riuscisse a creare un collegamento tra i nostri sguardi, i nostri gesti. E così mi voltai, per assicurarmi che non fossi impazzita tutta d un colpo e che mi stesse guardando. E mi bastò posare le mie iridi nelle sue, di un nocciola profondo, per accorgermi che aveva un modo di scrutarmi che non pensavo fosse consentito dalle stupide regole che voleva tanto imporre ad entrambi. Schiusi le labbra e lasciai che un piccolo sospiro fuoriuscisse da queste, puntando io stessa con estrema insistenza il mio sguardo nelle sue movenze: i suoi occhi non la smettevano di contemplarmi, facendomi sentire la cosa più bella lì dentro, e il suo braccio si alzava e abbassava per permettere alla sua sete di placarsi. Ad un tipo di sete, perché vi assicuro che l intensità delle occhiate che mi lanciava era da togliere il fiato. Compii un passo in direzione della porta, gesto che poteva tranquillamente sembrare un modo per avvicinarmi a lui, lasciando perdere quindi la doccia e tutto il resto, ma non fu così perché mi servii solo per esser certa che mi puntasse con la stessa attenzione di prima. Fu solo allora che le mie dita andarono sulla stoffa della maglia, afferrarono il lembo inferiore della stessa, e la fecero passare per tutto il busto, sfilandomela dalla testa e gettandola a terra. Non era la prima volta che mi vedeva con il seno al vento, ma diciamo che durante l episodio prima c era stata poca attenzione ai particolari, accecati com eravamo dalla foga di unirsi all altro. Ora, invece, pretendevo che contemplasse la bellezza del mio corpo semi-nudo, quei seni rotondi e pieni, protratti leggermente verso l esterno, su cui si potevano vedere i capezzoli turgidi per il freddo che accarezzava il mio corpo. Eravamo pur sempre nel periodo di gennaio, quindi nonostante il riscaldamento, faceva comunque freddo anche in casa. Ma la gioia di vedermi come Madre Natura mi aveva sfornata, gliela concessi solo per pochi istanti, chiudendo successivamente dietro di me la porta. Non potete immaginare la goduria provata per il calore che i suoi occhi emanavano, per il modo in cui stringeva il bicchiere che aveva in mano e per la maniera in cui aveva bloccato i suoi gesti. Ero sicura che anche la salivazione si era magicamente azzerata per la voglia che aveva di lasciar perdere le sue fottute regole ed entrare in bagno con me, magari facendoci insieme la doccia. Ma no, non l avrebbe mai fatto, sarebbe stato un colpo di testa troppo grosso per Shane, lui che aveva studiato a memoria i suoi comandamenti e su cui era fermamente fissato, quasi fosse una ragione di vita, la sua. Io me ne fregavo, ma non credo che ci fosse bisogno di sottolinearlo, dato che già di per sé i miei atteggiamenti parlavano chiaro.
    Mi feci la doccia e una volta uscita dalla vasca constatai che la mancanza di una tenda aveva inzuppato completamente i miei vestiti che giacevano disordinatamente al suolo, accanto al tappeto. Storsi il naso, inizialmente, afferrando un asciugamano a caso che mi passai frettolosamente sul corpo per poi avvolgerlo intorno al mio busto, facendolo scivolare fino alle mie cosce, coprendo così quelle zone che lo avrebbero potuto sconvolgere. Uscii quindi dalla stanza, lamentandomi apertamente per la mancanza di una tenda e chiedendogli se avesse qualcosa per me. Insomma, non potevo morire di freddo, semi bagnata, con solo un asciugamano addosso.. anche un cuore di pietra come il suo avrebbe dovuto provare tenerezza per una povera ragazzina indifesa, no?! A questo giro, nonostante la mia mise fosse decisamente più osè della precedente, egli non mi degnò di mezzo sguardo. Si staccò dal suo mobiletto, afferrò un altro bicchiere di scotch debitamente riempito, me lo porse e passò oltre. Non che ci rimasi male, ok forse un po’ si, ma pareva che in lui risiedessero due persone: dottor Jackyll, colui che mi guardava come se non fosse in grado di cambiare oggetto delle sue attenzioni, e Mr. Hide, che mi passava affianco senza rivolgermi una sola occhiata, come se valessi meno di zero. Sorressi il bicchiere con la mano destra, mentre la sinistra teneva stretto il nodo poco sopra il seno, abbassando gli occhi sul liquido marroncino contenuto nel bicchiere di vetro. Avvicinai le labbra al contorno, addentandone la superficie prima di risucchiarne una sorsata che diventava sempre più ampia, arrivando a scolarne metà in pochi respiri. -Dovrai accontentarti di una mia tuta- mi voltai con molta calma, appoggiando il bicchiere il cui contenuto era dimezzato sul tavolino proprio accanto al televisore, puntando con lo sguardo la sua figura che, di spalle, si piegava alla ricerca di qualcosa che potesse andarmi bene –se non hai di meglio..- mormorai quasi seccata però con un leggero sorriso sulle labbra perché ero consapevole di tirarlo scemo con quelle mie continue lamentele, ma che volete farci?! A me piaceva comportarmi così, sempre fuori dalle righe, fuori dagli schemi.
    Continuai a guardarlo con estrema attenzione, la carica esplosiva che si respirava in quei pochissimi metri quadrati era alle stelle, e lui, finalmente oserei dire, ricambiò il mio sguardo, avvicinandosi con quei panni stretti tra le mani, nel mentre però i suoi occhi studiavano le linee del mio collo lungo e femminile o, ancora meglio, la divisione dei seni ben strizzati al di sotto di quell asciugamano. Non potei non sorridere, sentendomi non solo irresistibile ma anche apprezzata da quegli occhi vispi che non lasciavano mai nulla al caso, e feci scivolare con estrema cautela le mie mani sulla tuta che egli sorreggeva ancora, leggermente protratta verso di me in modo da farmi capire di doverla afferrare. Strinsi la presa con decisione, strattonando di poco i panni, convinta che egli li lasciasse custoditi tra le mie grinfie, ma egli sembrava sicuro di non voler mollare la presa tanto facilmente e ciò mi fece proprio sbilanciare dapprima all indietro e poi in avanti, proprio verso di lui. Alzai, dunque, i miei occhi da gatta nei suoi che mi guardavano con un aria quasi rassegnata, combattuta e anche peccaminosa, mentre la sua voce roca arrivò alle mie orecchie, provocandomi un brivido lungo tutto il corpo che partiva dalla colonna vertebrale -Hai infranto una regola- un sorriso tagliò in due il mio viso, lasciando scoprire la parte destra della bocca, facendo dunque palesare una frazione di arcata superiore formata da denti perfettamente bianchi e dritti. Ero compiaciuta e decisamente sfrontata, ma non potevo nascondere quanto tutto ciò mi rendesse orgogliosa di me stessa e del modo in cui avevo attirato la sua attenzione –una stupida regola…- precisai io, in un sussurro che andò a posarsi docilmente sulle sue labbra a così poca distanza dalle mie, mentre il sorriso non abbandonava le mie. -Quante altre ne infrangerai? […] Quante ME ne farai infrangere?- non so cosa di preciso fu a colpirmi di queste domande, forse il tono, forse la vicinanza, forse la frustrazione ben visibile in lui.. stava sicuramente combattendo tra la sua parte razionale e quella animalesca che gli suggeriva tutto tranne che il tenermi a debita distanza, come si sforzava di fare da quando ci eravamo conosciuti. I miei occhi, ora attraversati da un luce più intensa e lussuriosa, si posarono dapprima sulle sue labbra, dalle quali era uscito un sospiro rassegnato ed era andato ad accarezzare le mie, e poi sui suoi occhi nei quali potevo leggere una sorta di timore a lasciarsi nuovamente andare.
    -tutte quelle che reputo stupide e che, in fondo, consideri tu stesso insensate...- pronunciai con una sicurezza fin troppo ostentata, mentre il sorriso che aveva fino in quel momento accompagnato le mie parole scemava fino ad annullarsi completamente. I miei occhi passavano in rassegna i suoi e le sue labbra, così dannatamente vicine, così invitanti -…ti sei pentito?- domandai curiosa e vagamente intimorita da una sua possibile risposta, indietreggiando automaticamente con il volto per osservare al meglio la sua espressione -…parlo della volta in cui siamo andati a letto insieme..- puntualizzai seria, lasciando per un secondo perdere la sfida, la tentazione, e tutto ciò che solitamente facevamo. Volevo la sincerità e Shane non era il tipo da perdersi in frottole.. era molto sbrigativo e deciso, qualità che apprezzavo fortemente in lui e che poteva tranquillamente ritrovare in me. Non mi sarei messa a sbraitare né me ne sarei andata indignata.. ma volevo sapere cosa pensasse lui della situazione, visto che non avevamo mai avuto modo di affrontare il discorso né saremmo più tornati. Quella era la mia unica occasione di conoscere la verità e, guardate un po’, stavo infrangendo proprio un'altra regola: niente domande personali. Ma mi sentivo, in un certo senso, scusata nel porgergliela, dato che non riguardava la sua famiglia, i suoi legami o il suo passato ma solamente noi.



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    Edited by {Sweetheart' - 6/1/2013, 21:29
     
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    Shane Balcoin

    Non avevo di meglio di una tuta, no. Perchè non viaggiavo in compagnia di donne, perchè non avevo con me degli oggetti di quelle con cui andavo a letto come se fossero trofei, ne nient’altro di macabro. Avevo solo i miei jeans, le mie magliette, le mie felpe, le mie scarpe sportive. Ed ovviamente le tute, che utilizzavo la mattina quando avevo tempo per correre, o per andare all’ospedale. E per aiutare una damigella in difficoltà, mezza nuda, con il mio solo asciugamano addosso.
    Inizialmente evitai di guardarla perché mi sentii in dovere di farlo, sentii di doverlo fare per impedire che il tutto finesse in altro modo, che mi lasciassi andare. Non ai sentimenti, che tra noi non si trattava di questo, non in maniera profonda almeno, quanto di attrazione fisica viscerale, tanto da farti quasi male. Non la reputavo neppure una cosa sana, onestamente. Perché era talmente forte che credevo fosse un’arma a doppio taglio. Ed io non me lo potevo permettere. Perché non volevo distrazioni di alcun tipo, non le cercavo in quel momento preciso della mia vita, e non potevo permettermi di avere punti deboli. Forse anche per questo avevo lasciato mia madre fuori da tutto questo; forse per questo dicevo in giro, ai nuovi amici, che non avevo famiglia. Perché non volevo che altre persone entrassero in quello che era il mio nucleo familiare, lo distruggessero più di quanto era già successo, ma soprattutto non volevo che altre persone si facevano del male standomi accanto. Perché accadeva questo, il più delle volte. Avevo il potere del rimbalzo, io. Era come io fossi in grado di vendicarmi di chi dovevo, mentre quelli che cercavano me finivano con il prendersela con chi mi stava accanto. Evie, in questo caso, era una delle papabili vittime. Era in grado di difendersi e sapevo che sarebbe stato lei il guaio per chi si fosse azzardato ad avvicinarsi a lei, ma era comunque un rischio che non volevo correre.
    E poi tentavo di mantenere le distanze anche per me. Come già detto, non avevo bisogno di nessuna distrazione, in realtà non avevo bisogno di niente e di nessuno attualmente. Non volevo maturare una conoscenza tale da farmi cambiare idea, inconsciamente. E le complicazioni nascevano perché c’era questo enorme contrasto tra le mie convinzioni, che reputavo giuste, e l’istinto che mi portava a volere altro. Non un sentimento, non una storia stabile. Mai l’avrei avuto, mai avrei potuto desiderare di averla. Avevo priorità differenti, infatti. Ma una relazione tale da avere determinate emozioni, che queste fossero solo una dipendenza o altro –che poteva rivelarsi comunque malsana-, non mi era concesso. Ecco perché stabilivo regole, ecco perché pretendevo che venissero rispettare.
    Una volta presa la tuta, tornando da lei, ebbi un altro attimo di confusione. Era questo che accadeva a reprimere certi desideri, o a rendere priorità altre cose. Resistevi per dei momenti, tenendo duro, rimanendo concentrato, il che portava via un mucchio di energia, e poi bastava vacillare un solo secondo, bastava che venisse fuori qualcosa in grado di spostare un minimo l’ago della bilancia, ed eri fottuto. Ed Evie era brava in questo. L’avevo provato sulla mia pelle tempo addietro, e ricapitava tutt’ora. Non serviva che facesse qualcosa. La sua presenza metteva in discussione tutto già da sé. Se, poi, ci metteva il carico da 90 –rappresentato da gesti, parole o sguardi languidi- allora andavi a tappeto definitivamente. ”–una stupida regola…-” Ed era per questo che agiva in un certo modo, no? Per ribellarsi. A cosa, poi? A me. E la cosa era spaventosamente eccitante. Oltre, dalla mia, essere abbastanza consapevole di quanto fosse probabile che oltre a quella regola fosse disposta ad infrangerle tutte, e a farle infrangere anche a me. Questo mi metteva a disagio e mi faceva anche incazzare, metà e metà in pratica. Perché ce la mettevo davvero tutta. Reprimevo le mie volontà per cercare di rispettare tutti i miei programmi, alcuni lievemente machiavellici. E lei non poteva comportarsi in modo tale da mandare tutto all’aria. Me la prendevo, internamente, con lei? Si, per il solo fatto che respirasse intorno a me! Ed era insano, era da ipocrita, ma me ne sbattevo alla grande, se serviva per alleggerirmi la coscienza.
    ”-tutte quelle che reputo stupide e che, in fondo, consideri tu stesso insensate...-” Subii il colpo, in maniera non molto evidente, perché ero il primo a credere fermamente che bisognava agire in base al proprio volere e al proprio senso di indipendenza, il cosiddetto libero arbitrio. Quindi anche prendere decisioni in base all’idea che poteva avere di una cosa, nel suo caso, come le mie stupide regole. Che, a detta sua, io stesso reputavo insensate. E non aveva tutti i torti. Capivo che difatti potesse sembrare assurdo, incomprensibile insomma. Ed io ero certamente combattuto, in molte occasioni. Era percepibile, evidente. Ma ciò non cambiava le cose. Per quanto non fossi una persona estremamente corretta, per quanto sentissi nelle mie vene un flusso di sangue cattivo, potente, riuscivo ancora a riconoscere il bene dal male o le cose giuste da quelle sbagliate. Forse a modo mio, in quanto avevo una lettura di ciò piuttosto egoistica, personale e non propriamente generica. Ma era un dato di fatto che non ero una persona da frequentare: ne in amicizia, ne in amore, ne per una relazione ibrida.
    Mantenni la presa della mano intorno alla tuta, che in quel momento era diventata una specie di trofeo o il segno di divisione tra i nostri corpi. Non credevo, infatti, che in base alle mie convinzioni non sarei finito di nuovo a letto con lei, se avesse voluto naturalmente. Ero dell’idea che c’era una bella linea di divisione tra ragione e istinto. Si sputavano tra di loro, senza ascoltarsi minimamente, senza riuscire a trovare un punto d’incontro. E quindi sapevo che se un giorno vinceva uno, l’altro avrebbe potuto tranquillamente perdere, facendomi anche sembrare un mezzo rincoglionito, che non sapeva mai cosa fare. E, maledizione, non era così. il fatto è che.. tra il dire e il fare […].
    ”-…ti sei pentito?-” E già qui vacillai appena, nelle intenzioni, nei pensieri. ”-…parlo della volta in cui siamo andati a letto insieme..-” Non deviai lo sguardo. Ebbi, grazie a ciò, la possibilità di cogliere la serietà non solo del suo tono ma dell’espressione del suo viso, e la curiosità leggibile nei suoi occhi cangianti. Era una domanda personale, quella. Aveva appena infranto un’altra regola. Porca miseria, non voleva proprio darmi retta !! Il che rendeva il tutto estenuante e complicato. Perché voleva una risposta, ed io non ero solito fare giri di parole, non ero neanche abituato a mentire, perché non mi era mai importato un accidenti delle persone che avevo davanti, il che rendeva semplice essere schietto, tanto che da quando avevo imparato ad utilizzare la parola nel modo giusto avevo creduto che fosse un’arma in più, nel mio caso. Quando però c’erano di mezzo cose personale, o comunque questioni che non volevi affrontare per ovvie ragioni e ti si palesavano davanti, io evitavo. Non si trattava di scappare, perché da un discorso non c’è verso di fuggire, se non cambiare discorso. Ed io non cambiavo discorso. Io evitavo, io facevo silenzio. Un silenzio assordante, che a me piaceva particolarmente. E inizialmente fu quello che feci. Rimasi zitto, a fissarla, a muovere appena le dita intorno alla stoffa della tuta, sentendo questa calda sotto il palmo della mia mano perché ormai le stavo facendo prendere fuoco, con quella forza e quella costante presenza. Ma qualcosa nel profondo del mio io, o il fatto che in un modo contorto e mio a lei ci tenevo comunque, mi convinse ad espormi. Dischiusi le labbra, inclinai di poco il capo, come se cercassi concentrazione per ciò che dovevo dire. E difatti era così perché da quando mi aveva posto la domanda avevo pensato a tutto fuorché alla risposta, e poi una scarica elettrica, improvvisa, colpì tutto il mio corpo, di cui diedi colpa alle dita delle nostre mani che per una questione di centimetri scomparsi –forse proprio a causa del mio iniziale gesto- si scontrarono. -Io..- Onestamente, non mi pentivo mai delle situazioni sessuali che vivevo. Lei me lo stava chiedendo, però, perché la cosa era un tantino diversa in quel caso, il nostro caso. -Credi che mi sia pentito?- chiesi, poi, facendo un solo movimento in avanti, e al contempo tirando lei verso di me, proprio grazie a quella tuta. Ecco di cosa parlo quando vi dico che ragione e istinto vincevano a giorni alterni. Inoltre Evie non rendeva facile il compito del primo dei due. -Credi che non lo rifarei?- chiesi ancora, mantenendo lo stesso tono basso di prima, cosa non difficile, vista la voce di natura rauca e calda. -Vuoi una risposta..- dissi, annuendo piano, alzando la mano libera all’altezza del suo viso, trascinando i capelli ancora un po’ gocciolanti sulla sua schiena, e puntando con gli occhi il profilo del suo collo, la sua spalla, la scollatura che da lì riuscivo a vedere anche meglio e che era accentuata dal nodo dell’asciugamano che stringeva il suo seno ancor di più. Poi tornai sul suo viso, e mi soffermai sulle sue labbra. Bagnai le mie un secondo, velocemente, ormai secche, come se così potessi liberarle dal calore che le imprigionavano al solo pensiero che lei le bagnasse con la sua lingua, le mordesse o semplicemente le toccasse. -Se è così, mettimi alla prova- E avrebbe ottenuto le sue risposte. Altrimenti.. avremmo continuato a sfidarci in quel modo, senza mai andare oltre, senza mai ricevere chiarimenti. Io più di quello non avrei fatto. Non ero nella condizione mentale ed emotiva di poterlo fare.

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    Edited by skars' - 13/1/2013, 19:46
     
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    Evangeline Nicole Austen
    Provocare. Avrebbero dovuto inventare uno sport, basato sulla tecnica di seduzione. Io ne sarei stata la campionessa, soprattutto nei confronti di quelle persone che avevo, almeno un minimo, inquadrato. C era chi capitolava per uno sguardo languido, chi per due lunghe gambe toniche, chi per vestiti particolarmente audaci. E chi, come Shane, era davvero difficile da capire. Aveva la capacità di esprimere determinate emozioni con gli occhi e dire totalmente il contrario a voce. Arrivavi ad un punto in cui, inevitabilmente, ti chiedevi se ciò che avevi scorto fosse unicamente frutto della tua immaginazione o se fossero le sue parole prive di consistenza. Inizialmente, lo ammetto, avevo pensato di peccare di presunzione. Ma poi lo avevo conosciuto. Forse, più che conosciuto, lo avevo vissuto e avevo capito che determinati suoi atteggiamenti erano atti a sfuggire da ritorsioni che avrebbero colpito in primis la sua persona. Era una specie di eremita, nell immaginario collettivo un uomo alto e possente, con molta esperienza e il tatto di un orco. Più o meno questa era la descrizione di Shane, se non che fosse decisamente attraente e, per me, particolarmente stuzzicante cercare di ammaliarlo. Tanto cos avevo da perdere? Cos avevamo da perdere? Vuoi o non vuoi, eravamo sulla stessa, rovinosa e deprimente, barca. Ciò che mi piaceva allo stesso modo di sedurlo, era stuzzicarlo, sfidarlo, sfinirlo. Lo conoscevo abbastanza da capire quali fossero i punti in cui, facendo pressione, l avrei portato proprio a non sopportarmi più. A differenza della maggior parte della popolazione, l esser odiata per me non era affatto un problema. Ero dell idea che, bene o male è uguale, purchè se ne parli. Ed io ero indiscutibilmente sulla bocca di tutti, una volta che mi ero fatta conoscere. Era sempre stato così, dagli anni dell infanzia a quelli della fanciullezza per terminare nell adolescenza che stavo, lentamente, lasciando.
    Era chiaro come il sole che Shane non aveva, con sé, altri indumenti che potevano starmi bene, sia per la taglia che avevamo, molto diversa l una dall altra, sia per il genere di cose che si metteva lui. Sarei risultata ridicola con indosso un suo pigiama, in cui sarei entrata due volte dato che era alto quasi il doppio di me, o qualsiasi altra cosa non modellabile. Quindi una tuta, sotto quel punto di vista, era perfetta. E l avrei gradita maggiormente a “souvenir” di palpabili conquiste. Solo il pensiero mi dava ribrezzo. Quando me la porse, notai che il suo sguardo aveva cambiato luce.. era decisamente più lussurioso, confuso e soprattutto acceso. Forse per la vicinanza, forse per il mio esser semi nuda, forse per quei continui battibecchi che non facevano altro che rendere l atmosfera calda e, noi, pronti per fare un passo verso l alto. Era come rinchiudere in gabbia due leoni: se sono dello stesso sesso, aspettati uno scontro all ultimo sangue, ma se appartengono ai due generi opposti.. beh, è molto ma molto probabile che l uno cercherà di dominare l'altro, finendo poi per procreare inspiegabilmente. La linea di confine tra desiderio e sfida è molto sottile, per quanto mi riguarda. E con Shane… beh era nulla. Bastava poco, pochissimo, per compiere un passo falso ed io, sinceramente, non sapevo neppur cosa augurarmi. Parlandoci molto chiaramente, non mi sarebbe dispiaciuto passare la notte in sua compagnia, e non per discorrere dei vecchi tempi, del nostro passato, o di noi, ma per sfogare quel desiderio misto a rabbia, rancore e tutte quelle emozioni che nell ultimo periodo mi avevano accompagnata. Però, dall altra parte, sapevo che se ciò fosse accaduto, avrebbe cambiato diverse cose. La volta precedente non era successo semplicemente perché non vi era stato il tempo: ero partita nemmeno due settimane dopo. Ora, invece, avremmo vissuto entrambi nella stessa cittadina di mille abitanti, a dire tanto, e a stretto contatto, dato il business in cui eravamo impelagati.
    Pareva che, lì, fossi l unica a voler parlare. O ad avere abbastanza salivazione per affrontare una discussione. Innanzitutto, gli feci presente che le sue teorie e convinzioni fossero tutte cazzate. Ed io, non trovandomi in accordo con esse, le avrei violate tutte, una ad una. Un po’ perché era nel mio carattere il cercar, sempre e comunque, di superare il limite, e un po’ perché non le reputavo così fondamentali. Lui a tali insinuazioni non disse nulla, si limitò a guardarmi in quel modo che avrebbe fatto sciogliere il cuore più glaciale di tutti, e a farmi capire, attraverso occhiate e silenzi che potevano apparire imbarazzanti, più cose di quelle che sarebbe stato in grado di fare a parole. Forse aveva le mani legate per le sensazioni che si respiravano in quei pochi metri quadri di casa, o forse voleva semplicemente cercare di fuggire da quella situazione.. ma il mio sesto senso, che difficilmente sbagliava, non pensava che fosse affatto così.
    Non mi feci metter alcuna soggezione per il suo continuo fissarmi senza sosta, e gli chiesi ciò che avevo sulla punta della lingua da troppo tempo, ossia se si fosse pentito di esser venuto a letto con me. Perché il fatto di continuare a pensare di aver ragione sulle sue regole un po’ mi faceva pensare che non ne fosse stato poi così felice, di quella volta insieme. Ma forse un muro avrebbe saputo rispondermi, avrebbe saputo chiarire i miei dubbi più di quello che Shane era in grado di fare. No, non in grado, ma che voleva fare. Esporsi, no, non era da lui. Ed era proprio su ciò che la mia attenzione si focalizzò: sul perchè non volesse esser chiaro e conciso come sempre, sul perchè gli risultasse così difficile rispondere semplicemente con un “si” o con un “no”. Non aveva mai avuto problemi a spiattellare in faccia a qualsiasi fosse il suo interlocutore, quelli che erano i suoi pensieri o la sua verità. In questo caso sentii solo una tensione, grande, immensa, nell afferrare con più decisione la tuta, quasi potesse scaricare tutta l elettricità su quella stoffa. Ma nell aumentare il vigore della sua presa, le nostre falangi entrarono in contatto per un solo secondo in cui, vi giuro, ebbi l impressione che tutto potesse prendere fuoco da un momento all altro. -Io..- strinsi di poco gli occhi, alla ricerca, finalmente, della verità che sarebbe uscita dalle sue labbra, come se fossi in grado di arrivare a tale soluzione ancor prima di sentire ciò che avesse da dirmi. Mi sentii strattonare l attimo dopo, e mi ritrovai, in un gesto del tutto istintivo, ad appoggiare il palmo aperto al suo petto mentre il naso, per poco, non andava a finire sull incavo del suo collo. Alzai lo sguardo qualche attimo dopo, giusto il tempo di prendere fiato e di capire quanto pericolosa fosse quella situazione ma, anche, estremamente eccitante. Deglutii a fatica e mi specchiai in quegli occhi nocciola che sembravano dirmi tutto ciò che, in fondo, avevo il bisogno di sentirmi dire. -Credi che mi sia pentito? Credi che non lo rifarei?- sospirai direttamente sulla sua pelle, così profumata, così soffice che avevo l istinto di addentare, dato che era proprio vicina a me. Il suo sussurro così roco e caldo mi provocò una serie di sensazioni contrastanti: da una parte non potevo che definirmi felice di vivere una situazione del genere, di avere una “non risposta” che sembrava alla fin fine così scontata.. dall altra, però, esigevo che fosse lui a dirmi dove pendesse la ragione. Mi limitai a guardarlo, questa volta fui io a non pronunciare una sola parola, facendo scorrere la mano che ancora giaceva sul suo petto poco sotto, con estrema calma, percependo con i polpastrelli, ben piantati sulla sua maglia, la consistenza particolarmente tonica della sua pelle, al di sotto. In tutto ciò, i miei occhi rimanevano, vigili e seri, puntati nei suoi, nel suo corpo in generale, pronti a captare il minimo segnale che mi avrebbe fatto capire qualcosa in più.. dal mio punto di vista, ciò che egli mi comunicava, era chiarissimo.. ma il fatto che non si esponesse e che non prendesse posizione, beh, mi faceva un po’ dubitare, com era normale che fosse.
    Vuoi una risposta..- la sua mano andò sul mio viso, accarezzandomelo di poco, per poi spostarmi la chioma ancora bagnata dietro la schiena, lasciando scoperto in quel modo il profilo del collo lungo e snello e la linea del seno che era messa ancor più in evidenza dal nodo che avevo posto proprio al centro, stringendolo con fermezza. Notai il modo in cui mi guardava, il modo in cui ammirava le parti che, sapevo, gli piacessero più di me, come le labbra, il seno o gli stessi occhi, ma non riuscivo a lasciarmi completamente andare. Non mi aspettavo una dichiarazione d amore, né un mazzo di rose, né che pensasse che il nostro incontro fosse stato il migliore in vita sua, ma almeno volevo una cavolo di risposta. Che, ed era lampante, lo stesso Shane non riusciva a darmi a parole -Se è così, mettimi alla prova- notai il suo gesto di bagnarsi le labbra e non potei che canalizzare tutta la mia attenzione proprio sulla sua lingua che, per un breve attimo, fu pronta ad attraversare il labbro superiore per la sua lunghezza, per poi rientrare nella cavità orale. –io credo che ti sia piaciuto talmente tanto da aver paura di rifarlo…- mi aveva fatto una domanda, o sbaglio? Io, a differenza sua, non avevo alcun problema ad esporre i miei pensieri con linearità e decisione, dato che non avevo nulla da nascondere. Accennai un sorriso, uno di quelli orgogliosi e stronzi, avvicinandomi di un passo in modo da stargli proprio sotto, occhi negli occhi. Mi alzai sulle punte, giusto per arrivare ad un altezza quantomeno similare, e in quel gesto appoggiai entrambe le mani sul suo petto gonfio e ampio, facendolo indietreggiare di un solo passo, forse perché non se lo aspettava, forse perché non voleva quell ulteriore contatto tra di noi -..sai, per la storia delle regole, delle imposizioni e bla bla bla..- mormorai con fare derisorio, alzando le spalle con un sorriso magnanime stampato sulle labbra, un po’ per sfottò, un po’ perché credevo sul serio che farsi tutte quelle seghe mentali non avrebbe portato a nulla. La mano destra salì lungo il suo sterno, passando per il collo e soffermandosi sul suo capo, dove aprii le falangi per immergerle tra quei capelli soffici e perfettamente disordinati, avvicinai di poco, con l ausilio della mano il suo volto al mio, portando ad un paio di piccolissimi centimetri le nostre labbra –non c è soluzione a questo..- e per questo intendevo l alchimia e quella miriade di sensazioni positive ed attrattive che provavamo l uno per l altra -..nelle tue stupide regole..- continuai imperterrita e sicura di quella che era la mia verità. Ammorbidii, contestualmente, la presa perché non avevo intenzione di andare oltre… insomma, io la mia rivincita mel ero presa, perché per quanto continuasse a dire che le sue regole erano importanti, non aveva decisamente fatto i conti con le sensazioni, emozioni e sentimenti.. ma ero stata in grado, io stessa, di fargli vedere la realtà dei fatti, semplice e cruda. Poteva non accettarla, fingere di non vederla, ma c era. Non gli sarei mai stata indifferente così come lui non lo sarebbe stato a me, con la differenza che io non avevo problemi a dirlo a voce alta… lui si. I miei occhi, scintillanti e soddisfatti, lasciarono solo in quel momento i suoi per focalizzarsi con tranquillità sulla tuta che, ora, teneva solo lui tra le mani. Già, perché le mie erano puntate entrambe su di lui, con una familiarità e quel pizzico di malizia che non mi avrebbe mai abbandonato. Avrei, probabilmente, fatto bene a prendermi quell indumento, ma le mie mani stavano bene lì dov erano e il mio corpo avrebbe tanto desiderato esser nudo e posseduto da lui. Oh, giusto, ciò non era possibile per le sue limitazioni, mi ero quasi dimenticata di ciò.



    featuring Evangeline Lilly - SHEET - ISPIRED BY Pink, try - DRESSES


    role scheme © danny,, esclusivo per lo shadowsouls


     
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    Shane Balcoin


    La paura. Spesso si utilizzava come giustificazione. Altre volte come minaccia allo svolgimento dei propri piani. Altre volte, ancora, come scusante. Io non avevo paura. Non c’era nulla, di materiale o immaginario, che potesse spaventarmi. Il buio non mi faceva tremare; i mostri li affrontavo senza il minimo scrupolo di coscienza, ne il minimo tremore; il dolore non mi spaventava, il rischio nemmeno, ancor meno l’idea della morte ed una serie di cavolate simili. Forse perché non avevo niente da perdere. Non c’era qualcuno ad aspettarmi a casa, ed io ero troppo egoista da pensare che al mondo qualcuno che tenesse a me in realtà ci fosse. Potrei dirvi mia madre ma anche tante altre persone che mi ero lasciato alle spalle, in quel lungo cammino che aveva cambiato la mia vita radicalmente. Però ero cieco. Non lo ero a conti fatti ma lo ero in un modo che ti faceva percepire la realtà differentemente, guardandola, quindi l’opposto di quel che era, e ciò ti portava anche a commettere delle scelte che ti costavano pezzi del proprio io. Non tentare, nuovamente, un approccio libero nei confronti di Evie riguardava esclusivamente il mio modo di vivere. Il fatto che avessimo in comune un hobby / lavoro non doveva farle credere di conoscere il tipo di persona che si trovava davanti. Non mi conoscevo neppure io. Non profondamente, almeno. Era bastata una lettera ed una serie di avvenimenti per mettere in discussione tutto ed ero più che giustificato ad avere quelle regole. Che andassi contro me stesso, il più delle volte, rifiutandomi di stabilire certi legami o perdendo delle buone occasioni, lo sapevo. Da quando avevo deciso di cambiare vita, di inseguire una meta, la mia vendetta personale, avevo messo in conto tutto. I vecchi legami, mandati al diavolo. I nuovi, mai troppo seri. Il vecchio Shane, al diavolo. Il nuovo, totalmente diverso e in un certo qual modo limitato. Sapevo di esserlo. Sapevo di limitare me stesso con quella serie di imposizioni ma non me ne vergognavo, perché era così che doveva essere. Non potevo permettermi di giocare, dovevo stare in guardia ogni istante della mia vita e concentrato. Avevo un obiettivo. E dei nemici. E per queste due ragioni dormivo con un occhio aperto ed uno chiuso. Venivo accusato per questo o deriso? Probabile. Ma di certo perchè nessuno sapeva come stavano le cose, e nessuno riusciva a percepire il livello di frustrazione, rabbia e vendetta che abitava in me. Se fossero stati in grado di capire quanto fossi autodistruttivo avrebbero anche smesso di fare domande. Perché ero una causa persa. Non c’era nulla da salvare. Ma, attenzione, questo non era necessariamente una cosa negativa. Insomma, so bene che per qualcuno il discorso può farmi assumere il ruolo di vittima. Ma non lo ero. Non volevo neppure sembrarlo, ecco perché tenevo per me tutto quello che pensavo o che avevo vissuto, considerando anche che credevo più sicuro per chi mi circondava conoscere solo il necessario. Ma io ero forte. Dentro e fuori, ero una roccia. Ed era questo che mi permetteva di andare avanti, imperterrito, e mi permetteva di non legarmi a nessuno. Perché non avevo bisogno di nessuno. Che poi, per un motivo o per un altro, mi trovassi a stringere un legame con qualcuno o di provare qualcosa di vero, questo era normale, perchè un cuore lo avevo anche io. Il punto focale però stava nel fatto di permetterlo. Che mi legassi a qualcuno, ripeto, era normale perché scavando con decisione chiunque avrebbe trovato un minimo di luce anche in me, così come emozioni pure. Ma lasciare che accadesse o non prepararsi, quantomeno psicologicamente, ad una respinta, era diverso. C’era una sostanziale differenza tra il verificarsi di un qualcosa in maniera naturale, o non fare nulla per impedirlo, pur sapendo che era sbagliato. Che le mie fossero riflessioni elaborate di molto e difficili da sostenere, ne ero consapevole. Ma, ripeto, per me erano solo qualcosa in più. Erano la mia forza e la mia barriera contro ogni tipo di coinvolgimento. E il mio passato, quel che ero, non faceva di me una vittima delle mie stesse imposizioni o delle mie emozioni. Io avevo fatto una scelta, mi ero preparato a tutto quello. E il fatto che Evie reputasse sbagliato il modo che avevo di vivere la mia vita o gli affetti, lo capivo. Perché lei era abituata a mettersi in gioco sempre e comunque, a non avere regole. Ne andava fiera. E non la biasimavo. In compenso, però, non volevo essere biasimato neppure io. Che fossi un rottame da cui cadevano pezzi ad ogni passo, forse si, e anche per questo allontanavo chiunque, ma stavo seguendo una linea comportamentale che non poteva portare altro che questo. Ecco perché mi sentivo, oltre ogni cosa, forte. Ecco perché credevo così tanto in ciò che pensavo e in ciò che facevo. Ecco perché non rinunciavo a mostrarmi per quel che ero, che ero diventato, ormai. Tutta questa premessa per arrivare a dire che io non avevo paura di rifarlo, non avevo il terrore di ritrovarmi in qualcosa che sapevo mi sarebbe piaciuto. Ma sarebbe stato sbagliato non fare nulla per impedirlo, visto tutto ciò che c’era dietro. Semplicemente questo. Teorie su teorie che non si rivelavano vere, se poi io stesso la provocavo. Ma come vi ho detto non ero immune al suo fascino, alle emozioni. Cercavo di controllare ma non sempre era possibile. E semmai era questo che poteva spaventarmi un minimo. Non lei. Ma me stesso. Perché non ero sano e non potevo perdere il controllo. Istintivamente, difatti, quando mise entrambe le sue mani sul mio petto, feci un piccolo passo indietro, in modo da guardarla e ascoltare ciò che aveva da dire. Ma fu il mio turno di rispondere. -Bla bla bla.. certo..- biascicai, un tantino irritato, per poi aggiungere -E se avessi buone ragioni per farlo? Per queste regole? Ci hai mai pensato, davvero?- chiesi, chiudendo gli occhi a due fessure proprio mentre questi incrociavano i suoi, con decisione e curiosità. Credevo, onestamente, che lei mai avesse preso seriamente le mie parole o quelle regole. Le considerava una sfida. Senza calcolare che a giocare con il fuoco rischi di bruciarti. In quel caso il fuoco ero io. E le ustioni che le avrei procurato non sarebbero andate via tanto facilmente. Sentire il calore che si propagava dalle sue dita sul mio collo, quella stretta tra i capelli, o la prepotenza del tutto eccitante con cui avvicinò poi il mio viso al suo, quanto bastava per sentire il suo respiro sulle mie labbra e inebriarmi del suo profumo, mi andò in tilt il cervello. A me lei piaceva. In un modo strano, perché c’erano volte in cui mi innervosiva a tal punto che il selfcontrol veniva meno. Allo stesso modo, però, mi sentivo attratto da lei con prepotenza. Era qualcosa che non mi spiegavo, ma in grado di annebbiarti la mente. Ed era a questo che servivano le regole! Porca miseria, pensateci: se non ne avessi avute, vista già la naturale forza attrattiva che ci univa, riuscite ad immaginare cosa sarebbe successo? In che vortice infernale / paradisiaco –a tratti- avremmo rischiato di finire? E non era un pericolo scampato, comunque. Perché il mio unico desiderio, stando così vicino a lei, era qualcosa che andava oltre tutte le imposizioni. E sapevo che non avrei retto, che prima o poi avrei ceduto. Avevo resistito fin troppo, viste le provocazioni, concedetemelo. Forse quindi aveva ragione: non c’era soluzione a quell’alchimia. Ciò non mi avrebbe permesso di aprirmi, però. Non così facilmente. Respirai sulle sue labbra ancora, guardando prima queste e poi tornando sui suoi occhi. E non dissi nulla. Si trattava di questione di attimi. Un momento ci sei, quello dopo non più. Un momento sei irritato, l’altro eccitato. Un momento credi di avere il controllo, quello dopo ti ritrovi a mettere in discussione tutto. Si trattava di piccole fasi, di circostanze, quelle svolte che arrivavano senza neanche accorgertene e che ti permettevano di fare un passo avanti.. o indietro. Nel mio caso, essere cieco dal desiderio mi portò a fare l’unica cosa per cui avevo lottato, che mi ero detto di non fare. Uno smacco bello e buono al mio orgoglio insomma. D’impeto, quindi, annullai ogni distanza, lasciando cadere la tuta, e portando proprio quella mano tra i suoi capelli, tirando appena verso il basso così da farle alzare il viso e avvicinarlo al mio. Ci misi la bellezza di un secondo per baciarla, sentendo quanto la consistenza di quelle labbra fosse piacevole, ricordandomene il sapore e facendo accrescere un desiderio che creava in quella stanza un’atmosfera strana, di certo diversa dal solito. Nel contatto con le sue labbra, la lingua andò a cercare la sua, con ardore, mentre il mio corpo si attaccava sempre più al suo, coperto da quell’asciugamano leggermente umido e che non aiutava di certo a venir fuori da tutto quello. Fu un bacio da far male, per quanti sentimenti vennero fuori. E soltanto nel proseguire con quel bacio, nel continuare ad avvolgere le sue labbra tra le mie, leccarle e permettendo all’impeto iniziale di mutare in altro, qualcosa di più coscienzioso -che reputavo anche peggio- mi staccai, lentamente, riaprendo gli occhi. Respirai, sentendo il fiato corto e i battiti a mille, e dissi: -Ti accompagno a casa- Non era un due di picche. Perché lei mi aveva giocato ma non aveva fatto passi avanti per poi ricevere una soddisfazione a metà. Avevo fatto tutto io: azione e reazione. Ed era questa la cosa peggiore.

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    Evangeline Nicole Austen
    Eravamo fermi sulle nostre posizioni, quasi ci trovassimo su un campo di battaglia, l uno sul versante opposto, all erta sull’attaccare qualora l altro avesse dato segni di impazienza.
    Io avevo preso il tutto un po’ come una sfida, non lo nego, sebbene alla base ci fosse un attrazione fisica non indifferente: bastava guardarci per vedere che avremmo potuto fare scintille, sia per quanto riguarda le litigate che altro. Dal mio modo di vedere le cose, Shane sbagliava a privarsi di un piacere che poteva accompagnarlo: se a lui andava di fare una cosa, una cosa che lo avrebbe reso appagato e felice, perché rifiutarsi? Perché allontanare tale voglia? Per salvaguardare sé stesso da possibili coinvolgimenti e me da chissà cosa. Mi conosceva, sapeva che non ero una ragazza da fiori e champagne, nemmeno da briosche il mattino seguente o da chiamate smielate. Quindi da cosa, in realtà, volesse preservarmi era un mistero anche per me.
    Alla fine delle fiera, gli resi noto il mio pensiero, ossia che le sue regole erano tanti bla bla bla messi insieme e che non avrei seguito. Doveva aspettarselo, da una come me, incapace di fermarmi soprattutto dinanzi alle restrizioni. Nessuno era capace di tenermi in gabbia, non vi era riuscito mio padre in diciott’anni di vita, non c era riuscito neppure il mio fratellastro che aveva tanto preteso che rimanessi io sotto il tetto di casa nostra, e di certo non ci sarebbe riuscito Shane con le sue stupidissime ed inutili regole. Regole che non mi piacevano, che non mi facevano sentire libera e che, soprattutto, non mi permettevano di agire come diavolo volevo. Dal mio punto di vista, Shane doveva sciogliersi un po’ e smetterla di pensare al suo cognome o a possibili scenari che si sarebbero potuti creare. Doveva gustarsi maggiormente il tempo che stava vivendo, senza pensare a troppi se o troppi ma. Doveva staccare la spina ed evitare di soffermarsi troppo su dubbi amletici.. il tempo avrebbe fatto il suo corso, per come la vedevo io. -Bla bla bla.. certo..E se avessi buone ragioni per farlo? Per queste regole? Ci hai mai pensato, davvero?- era lampante che avesse delle buone ragioni per imporsi delle regole, non mi sembrava il tipo di persona troppo concentrato a rimanere nei limiti imposti, quindi la risposta era che comprendevo che, di base, avesse delle buone ragioni. Semplicemente non mi importava di venire a conoscenza di queste né volevo condividerle. Mi ritrovai, pertanto, a guardarlo negli occhi, osservando l espressione irritata che il suo viso assunse, come se fosse seccato dalla mia insistenza, sapendo che, sotto sotto, il suo orgoglio veniva pompato da tutto quell interesse da me mostrato. Dalle mie maniere così poco sottili di provocarlo. Dalle tentazioni alle quali lo sottoponevo, a cui sottoponevo entrambi, a dirla tutta. –Non ho intenzione di soffermarmi a pensare alle possibili ragioni dei tuoi limiti…- chiarii, innanzitutto, regalandogli uno smagliante sorriso, in netto contrasto con la sua espressione ancora crucciata, ancora infastidita per la mia irriverenza, per il mio giudicare, sempre, quello che era il suo pensiero. -…voglio solo farti capire che il mio punto di vista non è poi così scontante dal tuo, sotto sotto…- continuai, con voce nettamente più bassa e sussurrata, andando proprio ad alzare il viso, raggiungendo il suo, soffiando su quelle labbra sempre più prossime alle mie. Non cercavo solo di ammaliarlo o tentarlo, ma volevo che il mio atteggiamento sottolineasse quanto, alla fine dei conti, lui voleva la mia stessa identica cosa. Mi desiderava. Voleva un contatto con me. E non mi servivano conferme, le avevo già osservando le movenze della sua gabbia toracica, oppure percependo il suo respiro corto o, ancora, i suoi occhi che mi puntavano con estrema attenzione, quasi volessero cogliermi da un momento all altro.
    E per colmare il tutto, alzai una mano che andò a finire proprio tra i suoi folti capelli scuri, stringendo con prepotenza le dita tra questi, portando il suo viso ancora più vicino al mio, osservando quella vena proprio sopra gli occhi che iniziava a gonfiarsi. Era eccitato. Iniziava ad essere accecato dal desiderio tanto da poter esplodere di passione da un momento all altro, ed io non potevo che esserne più felice, non potevo far altro che attendere che quel momento arrivasse. Con me poteva rilassarsi, poteva mostrarsi per chi era realmente, con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi segreti e i suoi scheletri nell’armadio. Avrei saputo capirlo più di qualsiasi persona al mondo perché, sotto sotto, eravamo più simili di quello che ci piaceva credere.
    I miei occhi, impazienti e colmi di desiderio, lo osservarono per quella manciata di secondi, che si potevano contare sulle dita di una mano, che divisero la precedente situazione ad una molto più calda: lo capii quando la tuta cadde, per sua volontà, al tappeto utilizzando quella stessa mano, ora libera, per raggiungere la mia chioma. Non appena i suoi polpastrelli andarono a massaggiare quella parte di me, iniziai a percepire una miriade di brividi spargersi per tutto il corpo, puntando i miei occhi nei suoi con quell ardore e quella voglia che non avevo paura a mostrargli, anche perché era la stessa che potevo leggere in lui. L attimo dopo mi ritrovai a socchiudere debolmente le palpebre perché le sue labbra furono talmente prossime da attendermi, di fatti, un bacio che arrivò e mi lasciò senza fiato. La sua bocca colmò perfettamente lo spazio della mia, le sue mani si uniformarono alla perfezione al mio corpo, ed io aderii completamente alla sua figura ben più alta e massiccia, sentendo che quell asciugamano,stando a contatto con la mia pelle da una parte e dalla sua, dall altra, iniziava a diventare caldo e d intralcio. Troppo restrittivo per quello che i nostri fisici volevano fare, troppo stretto per il mio seno che iniziava a diventare più voluminoso, in seguito al respiro alto e corto che moriva in gola per quei baci che non avrebbero di certo placato la mia sete che avevo di lui. La mia lingua martoriava la sua, le mie labbra non la smettevano di assaggiare le sue, così rosee e morbide che entravano, di diritto, in netto contrasto con quella barbetta che punzecchiava le mie guancie fino a raggiungere il contorno della mia bocca, irritandomi tutta la zona, facendola apparire certamente più purpurea del normale. Dire che fu un bacio di passione era poco, era così destabilizzante da lasciarmi basita e senza fiato, facendomi apparire decisamente contraria all allontanamento di Shane. Di fatti, quando la sua bocca si allontanò dalla mia, andai a recuperarla suonando su di essa altri tre o quattro baci a stampo, infilando all ultimo quel pizzico di lingua che non guastava mai. Adoravo il suo sapore e mi ero quasi dimenticata di quanto quella fragranza mi piacesse. -Ti accompagno a casa- non poteva aver detto quelle tre parole che significavano che mi voleva fuori dalla sua dimora. Non poteva voler intendere proprio quello! Aprii gli occhi, adattandoli alla luce e al suo viso così vicino, tanto che da questa vicinanza appariva docile e voglioso unicamente di esser apprezzato e coccolato un po’, forse come non era mai stato, e li puntai unicamente su di lui per capire se ciò che le mie orecchie avevano udito era una sorta di miraggio o proveniva davvero dalla sua seducentissima voce roca. Apostrofai un sorriso malizioso, scuotendo il capo con fare contrariato, mentre una mano andava sul nodo dell asciugamano che mi copriva ancora il busto –No, non credo proprio…- sebbene la sua non fosse una domanda, la mia risposta non ammetteva repliche: non me ne sarei andata da quella casa, non avrei interrotto un momento così solo per paura di sentire qualcosa. Quel bacio aveva regalato ad entrambi delle sensazioni strane e sicuramente nuove, ed era soprattutto per quello che non avevo intenzione di schiodare il culo da casa sua. La mano sul nodo andò ad allentare la presa di quell asciugamano umido, facendolo finire a terra con un grande tonfo, e a quel punto allungai entrambe le mani sui suoi jeans, in particolare sulla cinta infilata a dovere nei passanti. Raggiunsi il punto di chiusura di questo, tirandolo verso di me, facendo in modo che passasse solo un millimetro tra i nostri corpi, la giusta distanza per permettere alle mie dita di sfilare con maestria la cintura di cui mi impossessai successivamente. Mi portai il pezzo di cuoio di questa tra i denti, mentre i miei occhi continuavano a puntare i suoi e le dita sbottonavano i jeans, ed una volta liberatolo da quell intoppo, lasciai che la cinta cadesse sonoramente al tappeto, seguendo l unico indumento che rendeva il mio corpo vestito. Sollevai di poco la maglia ed io mi portai più in basso, andando ad inumidire di baci dapprima il suo petto e poi i suoi addominali, dedicandomi a ciascuno di loro con minuziosa attenzione, facendo agire alternatamente lingua e denti, oltre che le mie soffici labbra. Le mie mani, nel frattempo, riuscirono ad infilarsi nei boxer scuri che indossavano, solleticando quella parte che lo rendeva, credetemi sulla parola, davvero uomo e speciale. Non ero stata solo con Shane, avevo avuto altri ragazzi con cui condividere il letto, ma lui era quello che aveva lasciato un ricordo più piacevole dentro di me. Non era solo per l attività sessuale in sé, quanto per quell alchimia che non si poteva di certo imparare ad avere, tra due persone: o la si aveva, oppure era impossibile incrementarla dal nulla. Rialzai in quel preciso istante il viso, osservando l espressione che aveva preso il suo viso, decisamente più rilassata e meno angustiata… era sottile la differenza tra uomo e animale, soprattutto in Shane. Ed io avevo tutta l intenzione di far scattare la parte animalesca del ragazzo, quella in cui lo dominava unicamente l istinto, certa che questo lo avrebbe portato verso di me. Lasciai che le dita non solo smettessero di solleticare la sua intimità, ma gli scoprii la stessa mentre la lingua, sulla cui estremità risplendeva il piercing, andava ad assaporare la sua vera essenza, avvicinandolo sempre di più a quella linea di confine, iniziando a sollecitarlo con movimenti circolari così da non permettergli di tirarsi indietro. Non lo avrebbe mai fatto perché, nonostante tutto, lo conoscevo e sapevo l effetto che riuscivo a fargli.



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    Shane Balcoin


    ”-…voglio solo farti capire che il mio punto di vista non è poi così scontante dal tuo, sotto sotto…-” Decisi di non risponderle, alla fine, perchè altrimenti avrei dovuto aprire una parentesi che non si sarebbe mai chiusa e che, molto probabilmente, avrebbe portato entrambi a litigare. Il mio punto di vista era uno ed era senza alcun dubbio differente dal suo. Era questo che credevo, così come reputavo la sua una sfida che avrebbe potuto causare non pochi problemi ad entrambi. Non reputavo errato il suo voler giocare, testando la mia forza d’animo. La conoscevo. Non benissimo, ma abbastanza da sapere a cosa andavo incontro tutte le volte che stavamo insieme. Io facevo il duro, imponevo regole, agivo come credevo fosse giusto ed opportuno fare; lei cercava di impedire tutto questo. Non sapevo quanto i suoi motivi fossero nobili, per essere sinceri, ma di certo riusciva nel suo intento. Non sempre, ma a sprazzi, per delle frazioni di tempo, mi faceva calare la maschera dal viso e sciogliere un minimo quella durezza di fondo che mi apparteneva, già dalla postura o dal semplice modo di pormi. Ed era questo che non mi piaceva. Detestavo lasciarle una parte così grande di responsabilità e, al contempo, sapevo di non poter fare molto per impedirlo. Perché era innanzitutto lei che non lo permetteva. Se il tutto fosse stato deciso da me, se ogni cosa fosse stata sotto la mia responsabilità, anche tenendo tutto dentro, esplodendo in corpo, con gli organi uno ad uno distrutti per lo sforzo di reprimere ogni stato d’animo emozionale nei suoi confronti, allora state pur certi che in un modo o nell’altro ci sarei riuscito. Perché amavo lavorare da solo, quindi evitando di portarla con me in qualche missione, evitavo anche tutta una serie di cose. Ma lei non era il tipo da lasciare che andasse così. Tengo a sottolineare, un’altra volta, che tra noi due non c’era un sentimento profondo, di un amore puro e qualche altro aggettivo che stia ad indicare un legame romantico del genere. Non c’era ciò perché forse non c’era stato modo, perché non l’avevamo mai permesso o forse perché, semplicemente, non era destino che ci fosse. Ognuno aveva un percorso scritto. E anche se credevo poco o niente in robe del genere, che erano per le persone fataliste e non per me, era comunque possibile che –non essendoci un legame di natura sentimentale- la nostra destinazione fosse quella di struggersi per un’attrazione fisica trascinante, che faceva male quanto del sale cosparso su una ferita. Qualcosa di cui, in ogni caso, vista la potenza, non potevi fare a meno. Non c’era nulla di nobile in questo; lei era giovane, io complicato, ma del sesso non avrebbe di certo portato troppi problemi, lo sapevo, perché l’avevamo già fatto. Ma non era la stessa cosa, del periodo vissuto insieme in passato. Mesi addietro, era successo ed eravamo andati oltre, ognuno con dei cambiamenti e delle nuove situazioni. Ora avremmo vissuto nella stessa città e c’era più di una possibilità di conoscersi meglio. Cosa che non volevo, per me e per lei. Poteva non capirlo, in quel momento, ma prima o poi l’avrebbe fatto. Innanzitutto perché non c’era qualcosa di così forte da farla agire in modo diverso, da permetterle di lottare per qualcosa che a conti fatti avrebbe potuto trovare altrove. E poi perché, appunto, meritava altro. Lo sapevo io e lo sapeva lei. Non conoscevo la vita che viveva in quel momento, a che livello di conoscenza era con qualche ragazzo, se c’era qualcuno nella sua vita, ma avrebbe meritato senz’altro tutto questo. E non cercare di avere le attenzioni di una macchina mal ridotta, che faceva tutto l’opposto di quel che cercava di fare lei. Non vedendoci, poi, una ragione valida a sostenere le sue azioni non riuscivo a convincerci. Nel senso che.. se avessi saputo che s’era presa una cotta per me, probabilmente mi sarei logorato dentro all’idea per averlo permesso ma sarebbe stato anche più giustificato il suo voler tentare di corrompermi (u.u). Il suo però era un gioco. E stava semplicemente scegliendo l’oggetto sbagliato per divertirsi. Non che fosse negativo ciò, ero io che non andavo bene per questo. Avevo degli obiettivi, ed onestamente speravo di riuscire a sbloccare i miei poteri presto. Quando sarebbe successo, come avrei spiegato ad Evie se per qualche ragione avessi avuto l’istinto di ucciderla, di farle del male? E come avrei potuto evitarlo, se era nel mio DNA? Forse chiedendo a Celeste di non fare quell’incantesimo ma.. non potevo, io ne avevo bisogno, era parte di me e ne ero stato privato. Quindi io che sapevo tutta questa serie di cose, cercavo di imporre delle regole ad entrambi. Ma forse lei, non conoscendo nulla di tutto ciò, era perfino più forte di me. Tanto da dire e fare poco, e ricevere in cambio una reazione da parte mia abbastanza in contrasto con tutta una serie di riflessioni fatte. La baciai perché fu ciò che il mio istinto mi disse di fare, a cui diedi retta per via del fatto che mi ero deconcentrato un solo secondo. E quell’istante era bastato per far cadere la tuta a terra, e prendere il suo viso, avvicinarlo al mio e rapire le sue labbra. Non fu un bacio dolce, dove c’era l’esigenza di far venir fuori da parte di entrambi una certa intimità, un feeling. Che tra di noi ciò ci fosse o meno non era importante. In quel bacio, almeno da parte mia, sfogai una serie diversa di emozioni sintetizzabili in due diversi gruppi: piacere e frustrazione. Oltre al fatto che avevo represso quella voglia da tutta la sera. Quando, quindi, le mie labbra si scontrarono con le sue, furono scintille nel vero senso della parola. Mi parve di sentire delle fiamme sulla bocca di entrambi per quanto fossero incandescenti. Senza contare l’apprensione con la quale le nostre lingue si cercavano, ansiose di trovarsi e liberare almeno un minimo quel piacere che riscontravano nel venire a contatto. Fu quando presi coscienza di ciò che stavo facendo e soprattutto di quanto mi piacesse, che mi allontanai, convinto che continuare non fosse la cosa più giusta da fare. Ero intenzionato ad accompagnarla a casa, anche perché vivevo in una zona piuttosto desolata della città, e a lasciare che tutto cadesse nel dimenticatoio. Se non fosse che lei non era propensa a farlo. ”–No, non credo proprio…-” E le bastò un solo gesto per scogliere il nodo dell’asciugamano e farlo cadere sul pavimento di casa mia, rivelando ai miei occhi la sua nudità, quelle forme sinuose e perfette, che attirarono le mie attenzioni e fecero crescere l’eccitazione nata già prima con quei pochi sguardi e quel bacio. Non mossi un muscolo, sospirai soltanto, e quando le sue mani raggiunsero il girovita dei miei jeans, fermandosi sulla cinta che le permise di tirarmi verso di lei, lasciando che tra i nostri corpi ci fosse un solo centimetro di distanza, quanto bastava per sfilarmi la cintura e sbottonarmi i jeans. Cosa che fece subito dopo, difatti. -Evie, non..- Cosa avevo intenzione di dire? Che avrebbe dovuto smetterla! Ed io, oltre che parlare, avrei potuto direttamente agire allontanandola. Fui tentato. O meglio, una parte della mia ragione mi suggerì di farlo, ma quando le sue labbra raggiunsero il mio petto, lo baciarono e iniziarono a morderlo, capii di non avere nessuna voglia di allontanarla. In quel caso non c’entrava cosa fosse giusto o meno fare; ero già caduto, quando l’avevo baciata, e non dovevo stupirmi di cosa sarebbe successo poi o dove tutto ciò ci avrebbe portati. Sospirai, e istintivamente andai a liberarmi della mia maglia senza pensarci su due volte, mentre una sua mano andava a stuzzicare la mia intimità. Quello fu l’attimo in cui capii che non avrei opposto resistenza e che per quanto potessi credere nelle mie convinzioni vi erano cosa che non erano sotto il mio controllo, che si vivevano sotto una luce differente e che non era possibile razionalizzare. Lo pensai in quel momento e in quelli successivi, quando la sua bocca raggiunse il punto maggiore d’eccitazione in me, e non solo. Probabilmente, poi, avrei ricominciato con l’intenzione di far valere le mie ragioni ma al momento non era per nulla semplice pensarci o riuscirci. Tutto ciò che facevo era sospirare. Neanche parlare perché non c’era molto da dire e se lo avessi fatto il mio tono sarebbe stato ancor più rauco di quel che era normalmente. Ma sospirare, di piacere, lievemente teso perché non mi ero ancora lasciato andare a quel piacere con l’idea di goderne ogni dose, era l’unica cosa che fossi in grado di fare al momento. Una mano andò dietro la sua nuca, spingendo e seguendo i movimenti di questa, mentre i miei occhi, dopo essersi socchiusi per una frazione di secondo, permisero alle mie iridi di posarsi sull’azione che compiva Evie e che mi stava dando tutto quel piacere. Ma se era questo che voleva, tentarmi ed ottenere qualcosa in cambio, allora non dovevo permettere che quel piacere raggiungesse l’apice. Se voleva farmi impazzire e al contempo godere, lei lo avrebbe fatto con me. Malvolentieri, devo ammetterlo, le feci capire che doveva alzarsi, lasciare il mio sesso eccitato e pronto e tornare ad assumere la stessa postura mia. Quando ciò accadde, i miei occhi eccitati si scontrarono con i suoi, forse soddisfatti quel tanto che bastava per irritarmi. Sì, riusciva ad irritarmi anche quando ero fottutamente preso da lei! E dopo ciò, dopo averle permesso di dare le spalle al letto, la spinsi su questo, per adagiarmi su di lei. Quando ciò accadde, sentii il calore di entrambi i nostri corpi a contatto, e serrai la mascella per quella vicinanza che rendeva entrambi troppo.. normali, ed intimi. Sapete cosa? Avevamo fatto sesso già una volta, ed era stato così improvviso ed eccitante da non pensarci su nemmeno una volta. Era successo e basta. Non avevo avuto il bisogno di ragionarci. Ora, tra una provocazione ed un’altra, era più coscienzioso il tutto. E non so quanto fosse un bene. Ad ogni modo, pur constatando la poca distanza tra le nostre labbra, non le catturai tra le mie, scesi con queste sul suo collo, fino a raggiungere il seno che baciai mentre due dita si infilavano tra le sue cosce, nella sua intimità, stuzzicandola prima lentamente, e poi con più decisione.. più aumentava la confidenza e la tensione del momento, più cresceva la foga dei gesti, anche di quei piccoli contatti che presto sarebbero sfociati in altro. O almeno, arrivati a quel punto, speravo che accadesse. E per non dar modo a nessuno dei due di cambiare idea, perché giunti in quel vortice di passione non lo credevo molto possibile e naturale, sostituii le dita con la mia intimità, e la sensazione che provai in quell’istante fu in grado di annebbiarmi davvero e completamente la mente, lasciandomi travolgere da un’ondata di calore, piacere, desiderio crescente, che non aveva eguali. Ansimai, facendo trapelare quel coinvolgimento reale che c’era, ed avanzai dentro di lei, con quelle spinte ogni secondo più profonde ed elettrizzanti, ammutolendomi soltanto quando nella forza di quei contatti chiusi le mie labbra sulle sue, aprendole soltanto quando mi resi conto di avere nuovamente l’esigenza di assaporare, gustarmi le sue.

    Scheda, QUOTE BY Beauty and The Beast CW, © danny


     
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    Where there is desire, There is gonna be a flame, Where there is a flame...Someone’s bound to get burned


    Evangeline Nicole Austen
    Sapevo quale sarebbe stato il felice epilogo di tutto non appena la situazione si era riscaldata, questo perchè conoscevo me stessa ma sopratutto lui in determinate circostanze. Era quando perdeva il controllo, quando calava la maschera che issava perennemente sul suo viso che usciva il suo vero io… la sua vera persona. E secondo il mio punto di vista, doveva smetterla di fingere di essere chi in realtà non era. Doveva smetterla di limitarsi perché ciò gli avrebbe portato unicamente ad avere rimpianti e a vivere non al cento per cento. Ed io ero lì per quello, per fargli capire che qualsiasi faccia mi avesse mostrato, lo avrei assolutamente accettato. Io ero l essere più imperfetto del mondo ma avevo imparato ad accettarmi… lui?! Lui no. Mi svestii completamente, lasciando che l asciugamano calasse giù dal mio corpo, mostrandomi ai suoi occhi nuda come un verme, ma forte come non mai. Conoscevo l effetto che gli facevo, sapevo che ciò che il suo sguardo catturava lo aggradasse, eccome, così come quei baci soffocati che gli riempivano il collo, aumentando il desiderio che nutriva nei miei confronti. Stavo giocando con il fuoco ed ero consapevole di potermi scottare, ma a dirla tutta non aspettavo altro, perché era la cosa più entusiasmante che mi stava capitando dopo settimane piene di tormento e rammarico, di viaggi mentali che non mi avevano portato a nulla. Avevo persino dato ascolto alla mia coscienza, cosa davvero singolare per una come me, e tutto ciò per il bene di una famiglia che avevo appena guadagnato ma a cui, sotto sotto, tenevo davvero. Così come mi stava a cuore Shane, in un modo del tutto particolare. Insomma, non trovavo nulla di male a riscaldarci vicendevolmente, tanto per evitare di pensare, credendo per una volta nelle rispettive vite che qualcosa andasse per il verso giusto. Nessun coinvolgimento emotivo, solo due persone che, fisicamente, si piacciono e sono pronte a tutto. Io lo ero. Ed era piuttosto chiaro dal modo in cui mi stringevo a lui, lasciando che le mie dita scorressero irreparabilmente su ogni centimetro del suo corpo che volevano toccare, palpare o semplicemente sfiorare, senza alcun imbarazzo. Lo sentii inizialmente freddo, poco convinto che venire a letto con me fosse la soluzione migliore, ma non perché non gli fosse piaciuto quello che avevamo, un tempo, condiviso, quanto perché aveva quelle stupidissime regole che sembrava voler seguire rigidamente. Ma io non ero dello stesso avviso. E non avevo la minima intenzione di cedere, ma, altresì, volevo far valere le mie ragioni, e quale modo migliore se non quello di mostrargli ciò che potevamo fare, insieme?! Fu per quella ragione che non badai al suo ammonimento, lento e sussurrato, procedendo con baci focosi che mi portarono a raggiungere la sua intimità. Uno sguardo. Un'unica occhiata al suo viso mi servì per capire che fosse fottuto, che gli avrei fatto un torto maggiore se mi fossi tirata indietro. Mi voleva. Voleva che continuassi e non avevo bisogno che le sue parole confermassero la mia teoria, era così chiaro dai suoi occhi, dalla sua espressione e dai suoi piccoli gemiti che accompagnarono le mie manovre nel mentre le mie labbra andarono a lambire quel suo esser così maschio, facendo avanti ed indietro, stimolandolo all inverosimile. Inutile dire quanto fossi orgogliosa di ciò che sentivo, della sua partecipazione al tutto, del suo lento capitolare a quello che era il mio volere, capendo forse che combaciava alla perfezione con il suo. Ebbi un ulteriore, forse l ultima, conferma dalla sua mano che andò ad insidiarsi tra i miei capelli, guidando i miei movimenti, così lenti e calibrati perché non avevo l intenzione di far scemare tutto così. Quello doveva rappresentare solo l inizio, perché questa volta, a differenza della precedente, non era un errore di percorso. Avevamo avuto il tempo di metabolizzare, di tirarci indietro, per davvero, e di continuare a donarci reciprocamente piacere.. dunque tutto ciò era voluto e contribuiva a creare una situazione ben differente dalla prima volta. Nel momento in cui sentii maggiormente la sua partecipazione, non potei che eseguire movimenti più profondi e lenti, seguendo il ritmo di una danza del tutto sensuale e smaliziata, in cui riuscivamo ad andare verso la stessa direzione, compiendo gli stessi passi, all unisono. Passai la lingua dall alto al basso, con movimenti circolari, lungo l interezza della sua intimità nel mentre indietreggiavo, dedicandomi unicamente alla sua punta, dato che avevo ben capito l intenzione che Shane aveva: smettere con quella provocazione. Ed io accolsi di buon grado la sua volontà, staccandomi dall operazione appena eseguita, alzandomi sotto suo invito, raggiungendo in quel modo la sua altezza, con una lucetta vittoriosa negli occhi. Tra di noi era un eterna sfida che, a quanto pareva, vedeva me come vincitrice del primo incontro… e, personalmente, già non vedevo l ora di arrivare al secondo scontro. Un mezzo sorriso soddisfatto solcò le mie labbra, donando al mio viso una luce più lussuriosa e peccaminosa di prima.. incarnavo alla perfezione un diavolo tentatore, pronto a tutto. E finalmente scorsi quello sprizzo animale nel suo sguardo, quel luccichio che decretava quanto fosse fuori controllo, quanto non sarebbe mai tornato indietro. Ed ebbi conferma ancora di più di quanto pensavo quando le sue mani raggiunsero il mio corpo per permettere alla mia schiena di stendersi con comodità sul quel letto sfatto ma che profumava in maniera ineccepibile. Non appena mi adagiai sul materasso, sentii immediatamente la differenza tra le coperte fredde e il suo corpo steso su di me, caldo e turbato. Feci salire una gamba a stretto contatto con la sua, solleticando dalla caviglia al bacino, andando a stringere il tallone proprio sul punto vita, mentre le dita scorrevano sulle sue spalle, stringendomi a lui e godendo delle sue attenzioni. I suoi baci erano sconvolgenti, calmi e focosi, e andavano a sfiorare ogni tratto del mio busto, passando dal collo al seno divenuto turgido per il contatto con la sua barbetta e, sicuramente, per l eccitazione del momento. Gli occhi serrati e il viso all indietro, facendo perno sulla nuca, sancivano quanto piacere provassi per il modo in cui era capace di farmi impazzire, a maggior ragione per quelle sue dita che andarono ad immergersi nella mia intimità, simulando in qualcosa che VOLEVO che accadesse. Mi lasciai sfuggire un gemito di piacere ma anche di impazienza perché non avevo più così voglia di proseguire sulla via delle provocazioni ma preferivo passare ai fatti veri e propri. Seguii, tuttavia, i movimenti delle sue dita con il mio bacino, inarcando la schiena quel che serviva per mettermi in una posizione quasi seduta, scontrando sempre di più, dalla parte bassa fino al mio seno, il mio corpo con il suo, arrivando a tendergli sotto il naso il collo lungo e sinuoso. Piegai, infine, il volto, ritrovandomi alla stessa altezza del suo, aprendo solo in quel momento gli occhi. Ciò che leggevo nei suoi era quello che lui poteva evincere dai miei: passione, desiderio, voglia, ma anche una sorta di paura… paura che ciò che sarebbe successo avrebbe inevitabilmente capovolto le carte in tavola. Fu in quel momento che ci buttammo, entrambi, nuovamente sul letto, facendo ancora una volta scontrare le mie spalle al materasso, mentre egli sostituiva le sue dita con la sua intimità, invadendomi fin da subito con una nuova sensazione… non so nemmeno descriverla da quanto fosse complessa e confusionaria persino per me, ma era sicuramente un qualcosa di sconvolgentemente positivo. I miei occhi rimasero ancora una volta aperti, guardando il suo viso che si alzava ed abbassava ad ogni spinta, sentendo quella necessità di baciarlo… fu per questa ragione che schiusi le labbra, facendo aderire perfettamente la morbidezza delle mie alle sue, bagnandole a dovere con la lingua prima di concederci un bacio del tutto passionale, mischiato a quei gemiti che non sapevo tenere per me da quanto piacere era capace di recarmi quel ragazzo. Feci pressione sul materasso con l avambraccio destro, capovolgendo le posizioni mentre era ancora in me, ritrovandomi questa volta io su di lui, ammortizzando il colpo con le ginocchia senza, però, precludere alle mie corde vocali di far evincere quanto piacere mi avesse donato quella spinta, per forza di cose, ben più penetrante delle altre. Afferrai i suoi polsi, entrambi, portando le sue mani oltre il suo viso, curvandomi in tal modo su di lui mentre facevo affondare la mia intimità nella sua in modo lento e cauto, percependo la sua rigidità dentro di me, la maniera in cui riuscisse a scaturirmi una serie di emozioni diverse nel modo più naturale possibile.
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    Arrivai ad un paio di centimetri dalle sue labbra e ansimai su queste, aprendole di qualche millimetro avvicinandomi ulteriormente alle sue senza afferrarle, mentre il bacino affondava ulteriormente, facendo scontrare con maestria le nostre intimità, sfregandole tra di loro così tanto da avvicinarmi al punto massimo di eccitazione. C era una strana tensione tra di noi… sembrava tutto così naturale e sentito ma allo stesso tempo a noi estraneo… avevo creduto che ci dovesse esser assoluto menefreghismo da ambe due le parti, in modo che potessimo comportarci come volevamo, prendendola con filosofia ma… ma il cuore mi esplodeva nel petto, le guancie erano paonazze e non riuscivo a pensare ad altro che a noi due su quel letto, sentendo una strana tristezza montare dentro di me per la consapevolezza che quel momento perfetto stava per finire. Aumentai, in quel preciso istante, non solo le spinte, sempre più profonde, ma anche la presa sui suoi polsi, stringendo tra i denti il suo labbro inferiore senza fargli troppo male, muovendomi in modo del tutto sensuale e calibrato su di lui… un po’ come se gli stessi riservando una danza del ventre del tutto privata, consapevole che avrebbe apprezzato.



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