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Gennaio/terza settimana/martedì/mattina

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    CAROLINE FORBES
    vampire, seventeen eighteen years old
    Qualcosa mi diceva che non sarebbe stata una bella giornata. Un sentore spiacevole, un brutto presentimento dettato soprattutto dal cattivo umore con il quale -sapevo- avrei dovuto imparare, almeno per un pezzo, a convivere. Avrei incontrato Tyler, a scuola, questa era la certezza che mi turbava più d'ogni altra. Non avevo ancora deciso come affrontare ciò che era accaduto, non avevo ancora capito come avrei dovuto comportarmi con lui. Ed era difficile, dannatamente difficile prendere una posizione e agire di conseguenza, in quell'incasinatissimo contesto.
    Tyler mi aveva morso, l'aveva fatto perchè Klaus glielo aveva ordinato -per puro divertimento o per fare un torto a qualcuno che, per una serie di ragioni, tutti credevamo fosse il Salvatore più piccolo- e lui aveva ingenuamente creduto di poter opporsi, di poter agire di sua volontà, volendolo semplicemente. L'aveva fatto perchè aveva creduto che il sentimento nei miei confronti fosse forte a sufficienza, forte a tal punto da poter soppiantare quello di lealtà che nutriva in modo innaturale nei confronti di chi lo aveva reso un essere superiore, un ibrido. Quello nei confronti del suo sire, Klaus. Avrei potuto condannarlo per questo, e l'avevo anche fatto, in un certo senso. Almeno sul momento. Quando Tyler mi aveva morso, quando avevo realizzato che il mio ragazzo avesse segnato la mia condanna a morte, mi ero inevitabilmente arrabbiata con lui, gli avevo urlato contro, nel panico, e gli avevo ordinato di togliersi dai piedi, nell'immediato, in modo neanche lontanamente carino. Come reagire diversamente, dopotutto? Capivo tutto; capivo il legame di asservimento che gli negava il libero arbitrio, capivo che a comandarlo ci fosse una persona meschina come Klaus che, ovviamente, ne approfittava, capivo che lui non avesse chiesto nulla di quello che aveva ricevuto, capivo che non avesse colpa e capivo anche -seppur in parte- la gratitudine verso chi l'aveva liberato dal dolore delle trasformazioni. Ciò che non condividevo, invece, era la leggerezza con la quale aveva, sin dal primo momento, affrontato la cosa. Ero la prima a volere che Tyler credesse in se stesso, ma quando si trattava di Klaus, quando era lui ad esserci in mezzo, bisognava andarci cauti. Ed io non avevo di certo perso tempo a metterlo in guardia, nonostante lui stesso, per primo, avrebbe dovuto saperlo. Mi ero anche sentita in colpa, a momenti, credendo di avergli dato troppo addosso, credendo di averlo sottovalutato proprio come tutti gli altri. I fatti avevano invece dimostrato tutto il contrario. Proprio nel momento in cui avevo deciso di fidarmi di lui riguardo a quella storia, nel momento in cui avevo deciso di dare ascolto alle sue parole, senza temere che qualcosa di più grande potesse indurlo ad agire esattamente al contrario rispetto a quel che sostenesse, il destino aveva voluto punirmi. Ed era per questo che, ancora, non ero riuscita a metterci una pietra sopra e affrontarlo. Perchè da una parte non smettevo di essere arrabbiata, o meglio, amareggiata. Se solo mi avesse dato un po' più d'ascolto, se solo ci fosse andato piano come gli avevo suggerito milioni e milioni di volte, tutto quel disastro non avrebbe nemmeno preso piede. Dall'altra, invece, mi dicevo che non era colpa sua; mi dicevo che aveva semplicemente creduto tanto in noi, in quello che avevamo costruito, e che non potevo punirlo proprio per questo. Morale della favola, era da giorni che ignoravo le sue chiamate e lunedì non ero nemmeno andata a scuola proprio per evitare di incontrarlo. Purtroppo, ero abbastanza grande e matura per capire che, scappare, girarci attorno, non ci avrebbe portati da nessuna parte. Così, quella mattina, mi ero armata di buona volontà e avevo deciso finalmente di abbandonare la mia camera, di ricominciare, nuovamente, ad avere un minimo di vita sociale. Da sola, non avrei mai saputo ne potuto risolvere la cosa. Dovevo parlare con Tyler, che mi piacesse o meno.
    In verità, non è che non avessi voglia di parlare con lui. Incazzata o meno, Tyler era la persona con la quale condividevo tutto, la maggior parte del mio tempo, per cui non era affatto piacevole stargli lontano, mi faceva male ignorarlo in quel modo. Però temevo la conclusione alla quale saremmo potuti arrivare nel momento in cui ne avremmo davvero parlato, faccia a faccia. C'avevo riflettuto tanto, nonostante la verità mi si fosse palesata davanti agli occhi sin da subito. Avevo dedotto facilmente che, non avendo ancora trovato una soluzione al problema, ci fosse ben poco da fare, se non lasciarci, separarci finchè non avremmo avuto un modo. Era l'ultima cosa che volevo, stare lontano da lui. Ma che altro avremmo potuto fare? Non riuscivo ancora a spiegarmi l'interesse, improvviso, di Klaus nei miei confronti. Eppure, più il tempo passava, più ci facevo i conti e mi ritrovavo costretta ad accettare il fatto che esistesse, che quell'interesse ci fosse davvero. Mi aveva anche salvata la vita, gesto che ovviamente, non avrei potuto elogiare ne premiare considerato che, se non fosse stato per lui, non avrei di certo avuto bisogno del suo sangue per sopravvivere. Ma l'aveva fatto, e questo, ai miei occhi, appariva come l'ennesima conferma. Insomma, io non volevo offrirgli l'opportunità di approfittare del suo legame con Tyler, per rovinare il nostro rapporto, per crearci ancora problemi, mettendo entrambi in pericolo. E dannazione, per quanto mi sentissi egoista a desiderare una cosa simile, io non volevo starci in mezzo. Non volevo pagarne le conseguenze, non più, ne avevo già abbastanza. Insomma, avevo paura a parlare con lui perchè non volevo dirgli ne sentirmi dire quello che, infondo, già sapevo e, neanche lontanamente, mi piaceva. Non ero pronta a dirgli che mi arrendevo, non me la sentivo ancora, pur sapendo che a quel punto fosse la sola cosa. Dicendogli che forse non era destino, che avremmo dovuto accettarlo ed andare avanti, gli avrei voltato le spalle. Proprio adesso, lo avrei lasciato solo ad affrontare tutto quanto. Ma che altra scelta avevo? Nessuna. Dovevo affrontare di petto quella situazione, non potevo semplicemente continuare ad ignorare il problema e aspettare che qualcuno venisse a risolverlo. Avevo già provato, sulla mia stessa pelle, quanto grave fosse, quanto rischiassi in quella situazione, per cui mi ritrovavo costretta a prendere la decisione più brusca, la peggiore. Quella che nuoceva anche a me stessa, al mio benessere. Era atroce ma dovevo farci conti, dovevo reagire, e quella mattina l'avrei fatto. Così credevo, almeno.
    Quando arrivai a scuola, persi ancora del tempo in macchina, a ponderare non so neanch'io su cosa, a combattere, interiormente, con me stessa. L'inferno assoluto si scatenò dentro di me quando, dalla mia posizione, attraverso il parabrezza, lo vidi arrivare e fermarsi, poco lontano dalla mia macchina. Essere fredda con lui mi veniva difficile, era anomalo, non c'ero abituata e mi scombussolava, mi metteva a disagio. Eppure scesi dalla macchina, trovando in qualche modo la forza per farlo. Iniziai a camminare verso di lui, sforzandomi di tenere basso lo sguardo e non incrociarlo al suo, ma quando gli fui vicino, non ci riuscii. Lo deviai, letteralmente. Mi avrebbe fermata, lo sapevo. Ma a farlo, di mia volontà, a bloccare i miei passi, i miei muscoli, davanti al ragazzo che amavo per dirgli che era finita, non ne fui capace. Scappare non porta a nulla, continuavo a ripetermi. Ma sapete come si dice? Cuore e ragione non vanno proprio d'accordo.

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    Edited by sýnapse - 3/3/2013, 16:47
     
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    Tyler Lockwood
    Era cambiato tutto così velocemente che faticavo ancora a crederci. Ma avevo capito di essermi comportato, in prima persona, con superficialità e ne stavo pagando semplicemente le conseguenze. Avevo morso Caroline, senza riuscire a controllare quella mia natura e l’ordine ricevuto da Klaus, ed ora l’avevo persa. Non credevo, onestamente, che non ci sarebbero state più chance di stare insieme, per noi due, perché come ben sapete avevo una considerazione elevata del duo che formavamo e sentivo che nulla al mondo potesse allontanarci davvero. I litigi erano presenti in ogni coppia; i momenti di riflessione pure; i dubbi anche. Se pensate che, oltre ad essere due adolescenti, eravamo due creature soprannaturali, con problemi rari in una relazione normale, quindi con la responsabilità di dover affrontare la nostra storia con il doppio delle questioni da superare per stare insieme, era senza alcun dubbio difficile credere che potessimo andare oltre tutto, oltre il fatto che l’avessi quasi uccisa. Naturalmente non era successo perché avevo supplicato Klaus di salvarle la vita. E non ero neanche così stupido da credere che l’avesse salvata per farmi un favore o perché glielo avessi chiesto con quel tono apprensivo e pronto a tutto pur di vederla in vita. Era il cattivo per eccellenza per delle ragioni, non certo per aver vinto un trofeo a Mystic Falls. Quindi, già chiedendomi di mordere Caroline, aveva delineato tutta una serie di piani nella sua testa che non potevano far altro che andare a favore suo. Ciò non mi importava granché, onestamente, per il semplice fatto che a me era bastato assaggiare il sangue di Caroline per perdere tutto. Non mi consideravo disperato, in quanto avevo l’appoggio di mia madre ed una determinazione non indifferente dalla mia parte che mi aiutava ad andare avanti e a prendere delle decisioni importanti. Però non potevo negare che stessi di me**a senza Caroline e con il pensiero di ciò che le avevo fatto. Che fosse sana e salva, in quel momento, era relativo. Ovviamente ero felice di sapere che aveva superato la notte e che avrebbe continuato a vivere la sua vita. Ma il solo fatto che ero stato io a morderla mi procurava un odio personale, nei miei stessi confronti e ancor più verso Klaus che mi aveva messo in quella situazione, che mi smuoveva dentro. Avevo creduto, stupidamente, di poter sconfiggere Klaus con la mia semplice voglia di dire di “no” ad un suo ordine. Ed ovviamente avevo appreso che non era così facile. Va detto, in mia difesa, che non essendomi mai opposto neanche verbalmente, il solo fatto d’esserci riuscito, d’avergli tenuto testa senza avere il minimo timore, aveva enfatizzato l’azione in sé, aveva accresciuto il significato di essa e soprattutto mi aveva illuso. Avrei dovuto andarci con i piedi di piombo, o semmai parlarne con Caroline senza fingere che mi avesse chiesto una qualsiasi cosa, visto che riguardava principalmente lei e la sua vita. Avevo sbagliato, lo sapevo. Ma avevo voluto così tanto che potesse essere possibile, che fossi abbastanza forte da oppormi, che non avevo saputo distinguere un sogno dalla realtà. Perché, fidatevi, essere libero rappresentava proprio un sogno. E non volevo altro che divenisse realtà. Sia per me che per Caroline. A conti fatti, avevo cercato di ucciderla sia da licantropo che da ibrido, anche se mai per colpa mia o volontariamente. Capivo perché non risultasse piacevole per lei. Inoltre, dal mio punto di vista, non solo ero asservito alla creatura più pericolosa sul pianeta Terra –almeno a quanto ne sapevamo noi-; non ero neanche mai stato davvero libero, da quando il soprannaturale era entrato a far parte delle mie giornate. Una volta, infatti, aver appreso che fossi un licantropo, avevo dovuto subire la maledizione della luna. Conseguentemente, mi ero liberato di essa soltanto grazie al fatto che Klaus aveva deciso di prendermi come cavia per far leva sui miei amici, su Bonnie, e trovare una soluzione che mi salvasse la vita e desse a lui un ibrido da educare. Perché si, essere asservito a lui significava essere suo, e questo non rientrava nei miei progetti futuri. Quindi, mai avevo potuto vivere un periodo serenamente, senza che ci fosse altro a governare o controllare la mia vita. Ed ero stufo. Ero stramaledettamente stufo di tutto questo. Non solo non potevo agire liberamente, soggetto a pressioni ed ordini di qualcun altro, avevo anche perso la donna che amavo. E non mi andava affatto di finire in questo modo, di lasciare che tutto andasse secondo i piani di una persona che odiavo e che volevo fuori dalla mia vita. Ecco perché, conscio del fatto che sarebbe stata dura ma convinto di potercela fare perché avevo una forza dentro che mi avrebbe portato ad ottenere ciò che volevo, cercai l’aiuto dell’unica persona che poteva davvero dirmi come fare. Il padre di Caroline. E dopo aver parlato con lui ed aver capito cosa e come fare per superare la cosa, mi decisi a parlare con Caroline. Erano passati pochi giorni dall’accaduto, ma visto che adesso avevo una mezza idea su come spezzare il legame d’asservimento, non volevo rischiare di incontrare Klaus e perdere quindi quella possibilità. Dovevo andarmene, lasciare Mystic Falls, rintanarmi in un posto sperduto e rompermi ogni ossa del mio corpo fino a quando non sarebbe stato più doloroso farlo. Bill aveva esperienza in tal campo, non per quanto riguarda cose vissute sulla sua pelle, ma perché aveva sempre considerato il potere della mente più forte di ogni cosa. Non a caso, non era possibile soggiogarlo. Ecco, grazie a lui e alle sue idee, ero disposto a qualsiasi cosa pur di liberarmi di quella maledizione e tornare da Caroline, riconquistarla. Perché sapevo che avrei dovuto farlo, sapevo che non sarebbe stato facile, ma non intendevo rinunciare a lei. Era bene che iniziasse a comprenderlo e accettarlo anche lei. Dove incontrarla, quindi? Ovviamente a scuola. Era l’unico posto dove sapevo di trovarla con certezza. Inoltre, alla voglia di parlarle e renderla partecipe dei miei piani, c’era anche il regalo del suo compleanno che non le avevo dato. Non avevo fatto in tempo. Raggiunsi il parcheggio della scuola piuttosto presto, e con lo zaino in spalla iniziai a camminare sul marciapiede poco affollato, ma quando vidi la macchina di Caroline non ebbi neanche un istante di dubbio, attraversai un pezzo di strada per raggiungerla e mi fermai, in attesa. Volevo che scendesse dall’auto e mi venisse incontro. Volevo che si mostrasse ai miei occhi. Avevo un fottuto bisogno di averla vicino. Ma non era possibile. Non.. Lei non riuscì a fare altro che venirmi incontro e poi deviare letteralmente verso un’altra direzione, come se all’improvviso si fosse accorta di non poter reggere una conversazione con me. Se fossi stato altruista avrei dovuto rispettare quella sua scelta, quel cambio d’idea. Ma visto che ero egoista, che dovevo metterla al corrente di tutto perché non avrei avuto altri momenti per farlo tanto presto, non le avrei lasciato lo spazio che, probabilmente, voleva o le serviva. Non sarei rimasto a guardare il suo corpo sinuoso allontanarsi da me, lasciarmi lì con un pugno di mosche. Sapevo che quell’incontro sarebbe servito solo a farci del male, di più. Ma era necessario. -Caroline, aspetta!- dissi, seguendola, avvicinandomi quanto bastava per sfiorarle il braccio, sperando che quel lieve contatto della mia pelle contro la sua fosse abbastanza per arrestare il suo passo ed avere la sua attenzione. E quando ciò accadde –e non so dirvi come o perché- il mio cuore ebbe un sussulto. Ero un ibrido, e ciò significava che la bastarda miscela tra licantropo e vampiro aveva messo fine alla mia vita da umano, quindi il cuore batteva in modo diverso, se non per niente. Ero un non-morto, insomma. Eppure, credetemi, sentii lo stomaco contorcersi quando i suoi occhi incrociarono i miei, e il mio cuore subirne ogni dannato effetto collaterale. La spavalderia con cui avrei voluto saper affrontare quel momento venne meno in un attimo, e sul mio viso comparve un espressione dispiaciuta ed arrendevole. Perché si, non potevo fare nulla per cambiare le cose. Serviva del tempo. -So che sei arrabbiata con me ma.. devo parlarti, è importante- Sembrava l'unico modo di esordire che avessi, negli ultimi giorni, a mia disposizione con lei! Perchè ultimamente avevo sempre fatto qualcosa in grado di mutare l'equilibrio del nostro rapporto. Ma in quel caso non potevo dire altro. Non avrei potuto esordire dicendole direttamente ciò che intendevo farle sapere. Perché altrimenti avremmo litigato, o lei avrebbe risposto ad ogni frase con un botta e risposta, senza che nessuno dei due si sentisse soddisfatto del dialogo, ma solo esausto. Non che, come intendevo spiegarle le cose, avremmo potuto sentirci meglio. Però.. beh, almeno avrebbe capito cosa sarebbe successo alla mia vita. E indirettamente, se ero importante per lei tanto quanto lei lo era per me, anche alla sua.

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    CAROLINE FORBES
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    La cosa più difficile con Tyler, in quelle circostanze, era guardarlo negli occhi e rimanere arrabbiata con lui. Quei giorni passati a riflettere mi erano stati utili poichè ero riuscita a giungere ad una "conclusione", che adesso rappresentava la sola certezza della quale disponessi: a prescindere da tutto, avrei sempre trovato il modo per riuscire a perdonarlo. Ciò era sbagliato, era una debolezza, ma era anche innegabile. Nonostante la rabbia, nonostante la delusione, per tutto il tempo, avevo avuto come la sensazione che il mio cuore sapesse già in che modo avremmo dovuto affrontare quella situazione ed uscirne fuori. Chiaramente, la soluzione che il mio cuore suggeriva non era quella più giusta e ragionevole, ma di certo, era quella che avrebbe potuto ristabilire nella maniera più semplice, una condizione di benessere all'interno della mia vita. Insomma, le ragioni valide per perdonare Tyler e lasciar correre un'altra volta, volendo, le avrei facilmente trovate. Il legame di asservimento, ad esempio, sarebbe stata una scusante efficace. Mi ero aggrappata a qualcosa di simile quando al ballo aveva baciato Rebekah e adesso avrei potuto benissimo ripetermi, fare lo stesso. In breve, riflettere non mi era mica servito a capire cosa davvero volevo. Nel profondo l'avevo sempre saputo, ed il mio volere, di certo, non era mai stato quello di chiamare Tyler fuori dalla mia vita. Perchè, allora, non avessi ancora trovato il coraggio per confrontarmi, per bene, con lui? Perchè avendo imparato negli anni ad agire con giudizio e a frenare -sempre nei limiti del possibile- l'istinto, mi ero ritrovata nel pallone. Se da una parte ero certa di aver bisogno di Tyler, di tenere al nostro rapporto sopra ad ogni cosa e di volerlo preservare, prima di tutto, dall'altra mi rendevo anche conto che stargli vicino cominciava a diventare un rischio per la mia stessa vita e che, per quanto lo amassi, non potevo assolutamente trascurare un dettaglio simile. A dire il vero sì, l'avrei fatto. Ma se dovevo sforzarmi, se dovevo ragionevolmente pensare ad una condizione che fosse buona per entrambi, di certo, differiva da quella corrente. Avremmo dovuto risolvere il problema, in qualche modo. Ma il modo non c'era, o almeno, al momento sfuggiva ai nostri occhi, e una tale considerazione, alla fine, mi conduceva dritto per dritto ad una sola conclusione, una conclusione alla quale non sarei mai voluta arrivare e che, a conti fatti, rappresentava il mio problema cruciale al momento. La fonte della mia inquietudine, la ragione che mi aveva spinto ad ignorarlo e tirare dritto, pur avendolo visto, quella mattina a scuola.
    Come si fa, d'altronde, a rinunciare a qualcuno quando è l'ultima cosa che si vuole? Teorizzare qualcosa è sempre più facile che metterla in pratica. Io potevo saper distinguere giusto e sbagliato, perchè ero dotata di un cervello e di un'intelligenza non limitata, un po' come gran parte delle persone. Questo però non voleva per forza dire che il giusto mi piacesse o che sapessi sceglierlo. Ve l'ho detto, il mio cuore aveva già perdonato Tyler, infondo. Non si può odiare e amare al tempo stesso la medesima persona. O forse si, si può, ma non era il nostro caso. Io non avevo un motivo valido per odiare Tyler. Potevo al massimo serbargli un po' di rancore per aver agito imprudentemente mettendomi in pericolo, ma di certo, non potevo odiarlo in senso letterale, solo per questo. Riuscite quindi a capire perchè preferissi evitarlo? Non sapevo se ce l'avrei fatta, ecco tutto. Lasciarlo, fargli capire che sta volta non potevo semplicemente passare oltre facendo finta che non fosse successo niente, era la soluzione partorita dal mio lungo ponderare, cercando di agire nel modo migliore, piuttosto che d'impulso. Migliore a seconda dei punti di vista, certo. C'è chi crede che si debba sempre ascoltare il proprio cuore, per esser certi di aver fatto la scelta giusta, e c'è chi ritiene sia meglio trovare un punto d'incontro tra ciò che vuole il cuore e ciò che dice la ragione, per non sbagliare. Detto molto sinceramente, io non avevo ancora ben deciso da quale parte schierarmi, ed era proprio questo il danno. In genere, agivo in base a ciò che faceva stare bene me e le persone che avevo a cuore. Era ciò che avevo fatto con Tyler sino a quel momento, cercando di passare sopra a molte cose nonostante non mi andassero a genio. Prendi il suo comportamento al ballo, prendi la superficialità con la quale aveva affrontato il legame con Klaus. Stare con una persona significa accettare pregi e difetti, ed anche per questo, non mi ero di certo fermata alla prima incomprensione. Arrivati a quel punto però mi ero ritrovata davanti ad un bivio in cui mi era toccato scegliere se imboccare la strada in cui mi facessi andare bene tutto, in nome del mio interesse per lui, oppure, se prendere quella in cui avessero peso anche altre cose non irrilevanti, come salvaguardare la mia stessa vita, ad esempio. Riflettendo, avevo per così dire deciso di voler provare a cambiare atteggiamento e optare per la seconda, sta volta, visto che la prima non ci aveva aiutato a risolvere una volta per tutte determinati problemi che avevamo. Del resto credevo a tutto tranne che ad una separazione definitiva. Forse dovevamo solamente accettare il fatto che per il momento non potessimo stare assieme e, per quanto difficile, rimanere lontani finchè non avremmo trovato il modo per spezzare quel dannato legame d'asservimento. Mi ero detta questo, e avrei voluto esser brava a concretizzare tanto quanto lo ero a fare piani e programmi da persona seria e diligente. Ma purtroppo, quando passai oltre Tyler, per paura di non essere ancora pronta, per paura di sbagliare e poi pentirmene, dovetti ammettere a me stessa, con amarezza, di non avere quella dote tra le mie qualità. Dopotutto, non mi aveva mai spaventato l'idea della mia vita in pericolo, se questo rappresentava l'effetto collaterale del rimanergli accanto. Era stata addirittura la licantropia stessa, all'inizio, ad avvicinarmi a Tyler, ed io avevo sempre saputo cosa questo implicasse per me, per la mia salute, ma non avevo esitato un attimo, ne mai avevo pensato di tirarmi indietro. Allora perchè avrei dovuto farlo proprio adesso? Il fatto che continuassi a cambiare idea era l'ennesimo segno che da sola non sarei arrivata ad un punto e che dovessi piuttosto parlane con Tyler, per capire anche cosa ne pensasse lui. Peccato che neanche questo riuscì a fermarmi, cosa che invece riuscì a fare proprio lui, Tyler, chiamandomi e bloccandomi toccando il mio braccio con una mano. Mi mancava ogni piccolo, semplice contatto con lui e in quel momento ne ebbi prova a tutti gli effetti.
    "-So che sei arrabbiata con me ma.. devo parlarti, è importante-". Dalla notte del mio compleanno, quello era il primo momento in cui potevo guardarlo in faccia. Inutile dirvi che mi fece uno strano effetto. Raramente ci trovavamo ad affrontare situazioni simili, non ero mai fredda con Tyler e in quel momento dovevo esserlo; questo mi metteva estremamente a disagio, soprattutto perchè mi rendevo conto che essere risentita nei suoi confronti era una cosa che mi veniva spontanea e che non mi stavo imponendo. Certo, sapevo anche che non appena l'avrei sentito parlare, cercando di scusarsi in qualche modo, quel muro sarebbe letteralmente crollato senza esitare troppo. Ed ero così certa che l'avrebbe fatto non perchè ero tanto presuntuosa da esigerlo, bensì perchè conoscevo Tyler, credevo nei suoi sentimenti nei miei confronti, e potevo immaginare quanto si sentisse in colpa. Però non mi piaceva, sentirmi così di fronte a lui. Non mi piaceva affatto, e nemmeno il tono con il quale mi sarei rivolta a lui poco dopo per rispondergli. «Parlare? Di cosa dovremmo parlare, Tyler? Mi hai morso, hai provato ad uccidermi. Non credo ci sia molto da discutere». Scossi il capo e sgranai gli occhi. Due giorni lontano da Tyler e da tutti non mi avevano dato la possibilità di scaricare tutto il nervoso. Mi pare di avervelo detto, no? Eccome se avessimo da parlare e discutere, eccome. Ma non avrei potuto esordire diversamente. Riflessioni a parte, non avevo dimenticato cosa era successo e anche se ce l'avevo con Klaus prima che con lui, ce n'era pure per Tyler.
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    Tyler Lockwood
    Il suo sguardo mi aveva sempre scatenato una serie di emozioni differenti. Qualsiasi fosse la situazione, riusciva a farmi percepire senza neppure parlare cosa le passava per la testa. Quante volte era bastata un’occhiata per dirci tutto? Quante volte non era servito aprir bocca perché qualsiasi cosa fosse successa o provassimo eravamo in grado di trasmetterla senza sprecare fiato? Moltissime volte. Era una cosa nostra, che gli altri potevano solo invidiarci. Nel bene e nel male. Sì, perché se in passato la maggior parte delle volte il tutto serviva per evitare di parlare in modo sdolcinato, in questo caso percepivo chiaramente la sua rabbia nei miei confronti, forse un lieve fastidio per averla costretta a fermarsi e parlarmi visto che la sua intenzione era quella di evitarmi, e anche un po’ di pessimismo. Cosa che era quasi impossibile trovare in lei. Solitamente era la persona, Caroline, che trovava la soluzione a tutto. Qualsiasi cosa. Che queste fossero banalità o situazioni di estrema importanza o pericoloso, lei aveva il suo asso nella manica. Lei era il nostro asso nella manica. Perché anche quando non aveva la più pallida idea di cosa fare, di come affrontare un certo problema, era lì ad infonderti il coraggio necessario per andare avanti, era lì a ricordarti che bisognava pensare in positivo, era lì semplicemente a trascinarti con il suo umore o il suo modo di fare. E non importava se aveva dei problemi lei stessa, se lei stessa aveva una fottuta paura del domani o di qualche nemico; lei era lì a ricordarti che potevi superare la cosa. Ma non in quel momento. La guardavo, mi scontravo con il muro di freddezza che cercava di tener su con forza, tenacia, anche se non credevo affatto che dentro si sentisse così nei miei confronti. E chiamatemi pure presuntuoso, ma ero perfettamente in grado di capire quanto volesse me e quanto quella situazione la facesse soffrire, quindi poteva urlarmi quello che voleva, evitarmi, maltrattarmi anche fisicamente se ciò le serviva a sfogarsi almeno un po’, io non avrei smesso di lottare. Che, naturalmente, le sue parole potessero ferirmi.. certo, accadeva. Ma non per il senso cattivo di queste, quanto perché mi sentivo un perfetto idiota, mi sentivo una marea di colpe addosso, e non sapevo più come uscirne. O meglio, lo sapevo, ma speravo anche che quella soluzione trovata fosse quella giusta, definitiva, perché altrimenti avrei rischiato seriamente di impazzire. Nonostante ciò, però, era comunque strano vederla in quel modo. Sembrava quasi.. stanca. E non importava se con il tono o con certe occhiate volesse quasi fulminarmi, no. Era sul punto di arrendersi, ecco. Non totalmente, perché non avevamo ancora raggiunto quel limite, ma quasi. Le serviva la scossa che per un sacco di tempo avevo chiesto io. Ora, sarei stato io a dargliela. O almeno a farle maturare una nuova speranza, senza alcuna illusione perché non sapevo ancora come sarebbe andata a finire. E soprattutto se quella era una possibilità concreta. Però ci avrei provato, avrei tentato il tutto e per tutto. Era questo che volevo che sapesse. Oltre al fatto che, subito dopo aver udito le sue esternazioni negative nei miei confronti, maturò in me la voglia di dirle nuovamente che mi dispiaceva. E stavolta le parole vennero fuori velocemente, con un tono più alto del normale ma non in maniera esagerata. -MI DISPIACE, okay? Mi dispiace!- E se le prime due parole furono, appunto, pronunciate con un tono più alto, il resto non fu così. Sentii il tono spezzarsi in due punti di quelle parole, come se mi mancasse la forza per parlare; mostrando un coinvolgimento vero, forte, e una sofferenza che non credevo avesse eguali. E questo metteva in risalto chiaramente il mio stato d’animo. Se qualcuno avesse potuto guardarmi dentro avrebbe visto –metaforicamente parlando- un combattimento all’ultimo sangue tra il mio essere incazzato nero, e la voglia quindi di sfogarmi in qualche modo, prendere a pugni il mondo, e tra il mio essere veramente colpito da quella situazione. Mi disturbava essere in entrambi i modi e questo veniva ovviamente fuori. Ma non me la prendevo con lei. Io ce l’avevo con me stesso. In quel momento neanche Klaus veniva considerato da me, perché per quanto fosse un bastardo cronico e senza via d’uscita, per quanto fosse lui il responsabile delle mie azioni negative, ero stato stupido a non tenere conto delle conseguenze o a sottovalutare quel legame. Quindi ero io, il problema ero io. -Ecco perché andrò via.. per un po’- mormorai, inizialmente, convinto d’aver calibrato le parole bene per non farle intendere che la stessi lasciando o che, al contrario, avessi accettato il suo volermi tenere lontano da lei. Ma guardandola attentamente, con un espressione in viso –dal mio punto di vista- coinvolta, non credevo d’aver detto abbastanza per darle modo di non farmi domande o di non avercela con me, ancor più. Anche perché l’ultima volta che ero andato via, senza nemmeno dirle goodbye, avevo lasciato tutto convinto che mi odiasse, e soltanto tornando avevo capito quanto in realtà quella scelta fosse stata sbagliata, e quanto lei stessa avesse sbagliato a credere che avessi lasciato lei andando via. In quel periodo decisi di andare con Jules per me stesso, convinto che fosse la cosa giusta perchè lei sarebbe stata con Matt, avrebbe avuto comunque qualcuno che la meritava, ed io dovevo capire come affrontare tutto quello che riguardava il mio essere licantropo. In quel momento della mia vita, invece, decidevo di andare via per liberarmi da quel legame d’asservimento, ma questo non solo per me stesso, come persona meritevole del libero arbitrio.. per lei, io lo facevo per poter stare con lei. L’unica della quale mi importasse davvero qualcosa; l’unica che consideravo un’esigenza per la mia esistenza. Per dare un senso ad essa. -Vorrei riuscire a trattarti come una priorità assoluta, come la persona più importante per me.. ma non è possibile- sospirai, profondamente, e riacquistai ciò che mi serviva per proseguire. -..non perchè non voglia o non abbia ragioni per farlo.. ma perché c’è altro ad impedirlo, almeno per ora, ed è per questo che devo andarmene..- dichiarai, ancora.. Sospirai ancora, e mi accorsi che non mi sentivo affatto meglio, ora che le parole iniziavano a venir fuori.. Infondo perché non volevo andarmene, ma era l’unica cosa da fare! -Tuo padre ha delle idee al riguardo, e.. farò l’impossibile perchè vada a buon fine.. soltanto allora tornerò, quando saprò che non correrai pericoli ad avermi intorno- ..o nella tua vita. Per questo avrei dovuto lottare, probabilmente riconquistare non solo la sua fiducia ma anche il rapporto stesso, che rischiava di deteriorarsi anche con la lontananza, senza contare che non c’era alcuna certezza che il tutto sarebbe finito come volevo. Se mi fossi reso conto che spezzare ogni osso del mio corpo centinaia di volte non poteva servire, cosa avrei fatto? Forse avrei dovuto inventare un modo per uccidere Klaus.. Ma, almeno per il momento, volevo sperare che quella fosse la volta buona, la soluzione. Altrimenti.. non mi sarei arreso, mai. C’era in ballo la mia vita, non c’era nulla al mondo che potesse farmi rinunciare a lottare per essa.. e non solo.

    featuring Michael Trevino - sheet - inspired by Switchfoot, sing it out
    role scheme © danny,, esclusivo per lo shadowsouls


     
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